“Adua” di Igiaba Scego

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Adua di Igiaba Scego.
Casa editrice Giunti

Il romanzo in una frase:

I nomi contano nel romanzo di Igiaba Scego che è uno schiaffo per chi fa finta di non vedere, è un pugno per chi prova a girarsi dall’altra parte o a cambiare canale quando inquadrano I naufraghi superstiti di Lampedusa.

Descrizione (dal sito della casa editrice):

Il ritratto di una donna, Adua, alla ricerca di sé in un lungo viaggio dalla Somalia a Roma.

Igiaba Scego nel suo romanzo ci racconta la storia di una donna matura, Adua, che vive a Roma da quando ha diciassette anni. Adua è una Vecchia Lira, così i nuovi immigrati chiamano le donne giunte nel nostro paese durante la diaspora somala degli anni Settanta. Ha da poco sposato un giovane immigrato sbarcato a Lampedusa e ha con lui un rapporto ambiguo, fatto di tenerezze e rabbie improvvise. Adua è a un bivio della sua vita: medita di tornare in Somalia, paese che non ha più visto dallo scoppio della guerra civile. Ormai è sola Roma (la sua amica Lul è già rientrata in patria), per questo confida i suoi tormenti alla statua dell’elefantino del Bernini che regge l’obelisco in piazza Santa Maria sopra Minerva. Piano piano racconta a questo amico di marmo la sua storia: suo padre Zoppe, ultimo discendente di una famiglia di indovini, lavorava come interprete durante il regime fascista e negli anni Trenta baratta involontariamente la sua libertà con la libertà del suo popolo. Adua, fuggita dai rigori paterni e dalla dittatura comunista, approda a Roma inseguendo il miraggio del cinema.
Romanzo a due voci, quella di un padre e di una figlia, Adua indaga il loro rapporto impossibile e ci racconta il sogno di libertà che ha consumato in modi e tempi diversi le vite di entrambi.

 

Recensione.

Più d’uno è narratore in questo romanzo: c’è Zoppe,  il padre difficile con cui recuperare un rapporto interrotto, c’è Titanic il ragazzo scampato che ha attraversato il mare ed è sopravvissuto, e c’è la madre di Adua, una grande assenza che pesa per tutto il racconto soprattutto attraverso le parole di Zoppe. Asha, che è una temeraria: ha grande coraggio e sfida la morte pur di essere se stessa. E, chiaramente, la protagonista indiscussa che vediamo ora bambina, ora attrice senza veli, ora materna a prendersi cura di un uomo bambino che le nasconde scappatelle virtuali. Adua vive così, fra privazioni e ricordi impastati di un’infanzia in fin dei conti normale per lei ma che normale proprio non è: fra una Somalia, colonia italiana negli anni 70, e I monumenti di Roma fra cui la protagonista si muove e con cui parla (ad esempio l’elefantino del Bernini al Pantheon), l’autrice ci mostra una realtà difficile da sopportare,  una realtà di donne rattoppate in nome di valori e tradizioni per cui l’indignazione non è abbastanza e di certo non lo è ignorarla.

potete leggerne un estratto qui