Bella Ciao di Ninetta Pierangeli

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Bella Ciao di Ninetta Pierangeli

Ninetta Pierangeli ci racconta una storia sui brigatisti degli anni ’70 affrontata dal punto di vista di due ragazzi che si innamorano fra occupazioni e rapine. Siamo negli anni di piombo, Alberto che è giovane e lavora in fabbrica, vorrebbe mettere su famiglia ma ha poco carattere, si lascia trascinare dalla sua fidanzata, Monica, nelle attività dei brigatisti che la coinvolgono e trascinano in rapine e impegno nella lotta.

Gianni è tornato subito in sede col padre e abbiamo stappato la bottiglia. Intanto sono arrivati quelli più grandi, della sede di zona del Pci. Alberto non c’era: a quell’ora era già andato a casa a dormire, era sfinito dopo la lunga mobilitazione elettorale. Ma io no: ero stanca sì, ma troppo eccitata per andare a letto. Sono rimasta in sede.

Renato, il capo del Pci, con il cinquino fa il giro del quartiere sparando dal megafono la musica di Bella ciao. Ma la vera festa è rimandata a domenica, quando tutti noi non si lavora, né si va a scuola o all’università. Ci prenderemo il prato, quello incolto dove c’erano gli zingari, diventerà il nostro “parco popolare”: uno spazio verde per tutto il quartiere. Io per ora me ne vado finalmente a dormire, tanto dopo questa nottata non ci sarà nessuno in Facoltà e la lezione di greco poi chissenefotte. Peccato che Alberto non c’era, quando finalmente si è capito che avevamo vinto.

Mi sono voltata per cercarlo, lo volevo abbracciare, ma mi sono ricordata che era andato a casa. Certo, lui non può di sicuro fare sega10 al lavoro. La fabbrica non è come la scuola o l’università. Lì se non righi dritto ti licenziano, e poi lui come fa?

Alberto è un ragazzo semplice, si è diplomato e fa l’operaio a Roma. Il suo stipendio mantiene la famiglia perché il padre è cassaintegrato e la madre casalinga, lo hanno cresciuto secondo i valori della famiglia cattolica e lui è sempre combattuto fra il desiderio di seguire la sua donna e una morale che lo costringe a riflettere su ogni decisione. Monica è benestante ma se ne vergogna. Rinnega la sua famiglia perché non sposa gli ideali del partito e non si sente compresa. Studia lettere e le piace Alberto, se soltanto non fosse così ingabbiato nei suoi stessi limiti.

Lei il limite però lo supera e, come Alberto sa bene, di ogni azione poi si pagano le conseguenze.

Mi colpì il loro colore indefinito e lo sguardo di lei: verde. La bocca era piccola e il naso dritto. Le vidi le mani: aveva le dita lunghe e le unghie tutte mangiucchiate. Portava dei vecchi jeans e un maglione due taglie più grosso di lei. Non faceva intravedere niente. Eppure, giurai che sotto era bella. Nessuno me la presentò e per quel giorno l’approcciai solo guardandola, ma di sottecchi però, perché mi vergognavo.

Chi di noi del “Meucci” aveva mai parlato con una ragazza? Le vedevamo solo disegnate sui fumetti di “Zora la vampira”, che ci portavamo in bagno per le seghe. Una copia era sempre sul piccolo davanzale del finestrino in alto. Il bidello che puliva la lasciava là. Tanto, qualche volta, la guardava pure lui. Compravamo il numero nuovo a turno e poi lo lasciavamo lì a disposizione: democraticamente e nella piena uguaglianza erotica e sessuale.

Ma Monica non era così, o meglio, io non sapevo com’era, potevo solo immaginarla. Comunque per quella sera, seppi il suo nome, perché Gianni, che mi avevano presentato come il capo della FGCI, la chiamò per nome e le chiese il suo parere. Lì, fra
noi compagni – perché ormai mi sentivo già uno di loro – anche le donne prendevano la parola e decidevano le iniziative.

Un bel romanzo di formazione, che rievoca le atmosfere degli anni Settanta in un’Italia colpita dagli stravolgimenti politici e dagli attacchi terroristici della sinistra estrema, con urla a squarciagola di canzoni partigiane in piazza contro il potere, gli spogli elettorali vissuti con l’ansia del condannato che va verso il patibolo, le fughe e le prigionie, quelle imposte dalla legge e quelle suggerite dai compagni.

Noi, della FGCI e del Comitato per la casa, facemmo una barriera umana all’ingresso della salita che portava alle palazzine. Ma ci caricarono senza pietà. Non solo, dopo che molti di noi erano caduti a terra, li spinsero dentro i pulmini della Celere e li portarono in questura.

Nella confusione generale, vidi Monica caduta per terra e mi affrettai per sollevarla. Un pelo: il celerino stava già per arrivare a prenderla. La sollevai di braccia e corsi verso un portone aperto, ma non rimasi in fondo alle scale, salii i piani con lei in braccio, fino al settimo. Respiravo con fatica. C’era una famiglia che era appena entrata in un appartamento e non aveva ancora richiuso la porta, anche perché era scassinata e non sarebbe stato possibile.

Chiesi di poter entrare da loro. Sdraiai Monica sul pavimento: era cosciente, ma spaventata. «Così cattivi non li avevo mai visti nelle manifestazioni» mi disse con un filo di voce. Avrebbe avuto bisogno di acqua, ma nell’appartamento non c’era, perché non erano stati fatti gli allacci.

Un filo sottile unisce Monica e Alberto, quello stesso filo sottile che li separa. Sono due facce della stessa medaglia, loro due, sono il bene e il male, il giusto e l’errore e le loro scelte di vita si ripercuoteranno sull’esistenza di ognuno e, naturalmente, dell’altro.

Bellissimo il finale, che non anticipo se non per dire che è poetico e delicato

Biografia dell’autrice:

Ninetta Pierangeli è un’insegnante di lettere e una scrittrice. Ha  pubblicato diverse opere per bambini e ragazzi: Il tempo degli animali felici (Nicola Calabria Editore, 2006), Le avventure di Agostino il millepiedi (Edigiò, 2007), Il bar del porcospino (Edigiò, 2009), I colori del Natale (Nicodemo edizioni, 2009), Fiabe al personal computer (Edilet, 2011), Le pantere colorate (Edigiò, 2011), Lo zainetto (Bastogi, 2012), Il piccolo Gaio. Storia fantastica di Giulio Cesare (Edigiò, 2013), La laguna incantata (Edigiò, 2017). Negli ultimi anni sono usciti anche due romanzi per un pubblico “grande”: Asperger (Lepisma, 2015), L’immagine misteriosa (Augh!, 2016).

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