“Il Casale dei Ricordi” di Federica Squillace

casale

Descrizione:

Vittoria sembra avere una vita come tante altre. Orfana di padre sin dalla nascita e di madre da una decina d’anni, la sua unica famiglia è rappresentata dalla zia e dalla migliore amica, Jessica. Comprando un antico casale a un’asta, per farlo diventare un hotel, inizia però a scoprire qualcosa di strano. Alessandro, il cameriere dell’albergo in cui dimora, si professa suo difensore, affermando non solo che lei è in pericolo ma che conosce anche il suo passato e … suo padre.

Presentazione:
Quando Vittoria acquista all’asta il vecchio casale abbandonato, non immagina certo quello che
l’attende. Lei vorrebbe solo sistemarlo e crearne un albergo insieme alla sua amica, ma gli eventi la
condurranno attraverso un percorso decisamente diverso e più intrigante.
Vittoria ha un passato pieno di malinconia e solitudine ed è convinta che niente possa cambiare lo
stato delle cose.
Ma improvvisamente e inaspettatamente Alessandro, entra nella sua vita e la costringerà a fare i
conti con se stessa per capire cosa davvero vuole.
Lui, così bello deciso e tenero sembra la risposta a tutti i suoi dubbi e il modo in cui la guarda la fa
sentire unica al mondo eppure c’è ancora qualcosa, qualcosa che proviene dal passato di Vittoria che
minaccia di dividerli.
E’ davvero la prima volta che i loro occhi si incrociano?
E come se non bastassero le sue paure a rischiare di allontanarli, un nemico insospettabile vuole con
ogni mezzo che la ragazza non scopra mai la verità ne tanto meno giunga alla felicità che merita.
Vittoria saprà scavare dentro se stessa per trovare la forza di andare avanti?
Riuscirà finalmente a decidere di essere felice e abbandonarsi a quell’uomo meraviglioso?
Cenni biografici sull’autrice:
Federica Squillace: nata e crescita a Monza, dove vive tutt’ora con il marito ed il loro adorato cane.
Laureata presso la facoltà di Agraria di Milano, l’amore per il libri è sbocciato fin da piccola dopo
aver messo piede per la prima volta piede in biblioteca e grazie al nonno materno; da allora il sogno
di riuscire a scrivere per trasmettere le proprie emozioni è rimasto nel cassetto: fino ad ora.
Il Casale Dei Ricordi è la sua prima opera.
Recensione:
Il casale dei ricordi, romanzo d’esordio di Federica Squillaci, è la storia di Vittoria e Alessandro ma soprattutto della ricerca di una verità sopita. Il casale non è la destinazione della protagonista, ma il tragitto che dovrà affrontare per ritrovare quei ricordi che le vivono dentro ma di cui non ha memoria. Alessandro, sua guida, la ama e protegge e di lui dovrà fidarsi per scoprire ciò che il destino le riserva.
I ricordi e il presente si intrecciano in ogni pausa, una piacevole sospensione temporale che riconnette con il passato. Il primo incontro con Alessandro la confonde: lui sa qualcosa, le dice che è in pericolo e deve andar via ma non le spiega perché. Fa soltanto il nome di suo padre e questo innescherà un’azione dopo l’altra in un turbine di accadimenti. Vittoria dovrà affrontare una strada tutta in salita prima di potersi godere il meritato riposo nel suo bel casale.
La scrittura di questa autrice è accurata e senza sbavature, una narrazione scorrevole ma piena di colpi di scena, intrighi e inseguimenti condita di rosa.
Anita
Estratto:
«Candele… Dove diavolo possono essere delle candele?».
Era la prima volta che metteva piede in quella casa sperduta nella campagna toscana e ovviamente pioveva, anzi diluviava letteralmente! I rami degli alberi, all’esterno, danzavano al ritmo di quella strana melodia fatta di tuoni e vento e, proprio come su una pista da ballo, i lampi creavano degli strani giochi
di riflessi che ricordavano le luci stroboscopiche di una discoteca. Forse non era stata per nulla una buona idea dare un’occhiata a quella grande tenuta ma la curiosità, come spesso le accadeva, aveva preso il sopravvento. Così si ritrovava lì dentro, tutta sola, con il vento che ululava dagli spifferi delle finestre e i lampi che davano vita a delle vere e proprie rappresentazioni teatrali, proiettando inquietanti ombre.
Tornando alle candele, aveva un disperato bisogno di un po’ di luce per arrivare alla porta della cantina seminterrata – possibilmente senza rompersi l’osso del collo – e riuscire a raggiungere il quadro elettrico, sperando in quel modo di ripristinare la corrente. Ma l’impresa sembrava più ardua del previsto.
Si trovava in quella casa solo da poche ore: aveva sbirciato in alcune stanze per farsi un’idea di cosa contenessero e di come dar loro una sistemata, ma certo non aveva avuto il tempo di guardare in ogni angolo – tantomeno per cercare delle candele che mai avrebbe pensato le sarebbero servite in pieno giugno!
Invece, mentre stava ammirando la grandezza della camera padronale, immaginando come riportarla al suo vecchio splendore – questo avrebbe significato un immane lavoro ma anche una gratificazione senza pari –, era stata sorpresa dall’arrivo di quella terribile tempesta. E improvvisamente si era ritrovata al buio.
Muovendosi a tentoni per raggiungere la sua meta, non riusciva a non pensare al fatto che con una vista decisamente più acuta avrebbe avuto meno difficoltà a raggiungere il suo intento. Sì, certo, avrebbe potuto mettere gli occhiali o le lenti a contatto – come più volte il suo medico le aveva consigliato – ma rifiutava l’idea di avere quell’impiccio in faccia: le bacchette dietro le orecchie le davano un fastidio insopportabile e le lenti a contatto, poi, erano anche peggio! Gli occhi iniziavano a lacrimare senza sosta, il trucco colava inesorabile e rischiava ogni volta di trasformarsi in un panda! E come se non fosse bastata la sua naturale carenza di diottrie, ora doveva combattere anche con la mancanza di sonno, dovuta a circa ventiquattr’ore passate senza dormire.
Il tutto rendeva il traguardo del quadro elettrico quasi un miraggio!
Già, erano proprio passate più di ventiquattr’ore dall’ultima volta che aveva dormito…La sera precedente la telefonata della sua cara amica, nonché socia d’affari, Jessica, l’aveva avvisata che l’asta, per comprare quella strampalata quanto meravigliosa casa, era stata anticipata di ben due giorni senza fornire la benché minima spiegazione. Speravano forse in quel modo di poter liquidare i tanti nuovi sprovveduti compratori, facendo partecipare solo chi fosse davvero interessato, ma soprattutto che avesse un’adeguata disponibilità economica.
Per riuscire ad arrivare in tempo, non le era rimasto che lasciare con grande disappunto Monaco – a un passo dall’agguantare una fantastica collezione di rari francobolli – e, passando attraverso Austria e Svizzera, guidare tutta notte fino in Italia. Gli occhi più volte avevano minacciato di chiudersi, aveva decisamente perso il conto dei caffè bevuti lungo la strada, ma non voleva desistere. E così aveva proseguito verso la languida campagna senese.
Alle prime luci del mattino, con il cielo spruzzato di un rosa quasi fosse zucchero filato e il sole ancora solo un piccolo cerchio infuocato che iniziava a far capolino, fatta l’ultima curva, le era comparso davanti un piccolo paesino arroccato su una collina: si chiamava Radicofani, poco più di mille abitanti – diceva lo smartphone impostato sul navigatore per non perdersi. Seguiva la linea viola tracciata sul display e, intanto, si chiedeva come un’asta tanto ricca potesse svolgersi in un paesino così piccolo – che sembrava messo in posa per farsi scattare una foto e diventare la cartolina di qualche turista.
L’avrebbe scoperto presto, si disse sbadigliando. Sarebbe stato proprio bello potersi concedere una vacanza: non ricordava a quando risaliva l’ultima… forse qualche giorno al mare con la sua amica, ma si parlava di mesi e mesi prima, e il suo corpo ogni tanto aveva timidamente accennato al bisogno di riposo, tuttavia era sempre troppo indaffarata per dargli retta.
Una volta arrivata e parcheggiata l’auto, sgangherata ma fidata, scese per respirare quell’aria profumata di fiori e pane fresco – forse di qualche panettiere vicino, dove le sarebbe piaciuto tanto entrare per gustare una calda e fragrante brioche e magari bere un cappuccino caldo per colazione. Dovette per forza di cose rimandare quel piccolo lusso: mancavano solo dieci minuti all’inizio dell’asta! Doveva affrettarsi a raggiungere l’ingresso del palazzo che le stava di fronte e accreditarsi, altrimenti non avrebbe potuto partecipare, e addio alle speranze di accaparrarsi la splendida casa che, fino a quel momento, aveva visto solo sul sito ma che già prometteva di essere grandiosa al punto che ogni sforzo fatto negli ultimi tempi le
sembrava più che sopportabile.
Il grande portone, tutto intarsiato da disegni bucolici, l’attendeva spalancato, invitandola a entrare al più presto: si ritrovò davanti a un bancone sormontato da pile di opuscoli esplicativi dell’asta e a una signorina, tutta vestita di nero, con già in mano un modulo di partecipazione da compilare. Le domande erano sempre le stesse: dati anagrafici, se fosse o meno la prima asta cui partecipava, quale settore fosse di maggiore interesse, quale la fascia di reddito e bla bla bla bla.
Avrebbe potuto compilarli a occhi chiusi quei moduli! Ma non c’era tempo per pensarci: consegnato il modulo all’impiegata, ritirò il cartellino, la paletta numerata e corse verso la sala allestita proprio qualche istante prima che le porte si chiudessero.
Nonostante il ritardo, riuscì a sedersi in un buon posto, con una discreta visuale per non attirare troppo l’attenzione degli altri. Teneva davvero molto alla casa che, a breve, avrebbero illustrato e sperava di cuore che non ci fosse nessun altro troppo interessato, in modo che avvenisse tutto il più velocemente possibile: giusto due o tre ribattute, chiudere a un buon prezzo, firmare le carte e andarsene nel primo bed&breakfast lungo la strada, fare una doccia e dormire per tutto il resto della giornata. Sentiva la stanchezza causata dal lungo viaggio della notte appena trascorsa impossessarsi di ogni sua cellula: tenere gli occhi aperti e la mente concentrata richiedevano il massimo del suo impegno e, a ogni minuto, le forze sembravano volerla abbandonare. Si sentiva in disperato debito di caffeina – ormai da qualche ora non beveva l’adorato liquido nero –, ma ormai era lì e doveva battersi per raggiungere l’ambito obiettivo. Avevano grandi progetti lei e Jessica sul casale e non poteva certo deludere la sua compagna di affari tornando a casa a mani vuote!
Mentre parlava a se stessa per restare sveglia, ecco l’ingresso del banditore d’asta: un uomo sulla settantina, capelli di un bianco lucidissimo, occhietti vispi, circondati da un paio di occhiali quasi senza montatura, elegantissimo nel suo abito con cravatta in tinta, accompagnato dal suo immancabile martelletto. Era seguito a ruota dalla sua assistente: una ragazza di circa vent’anni, fasciata in un elegante abitino color glicine, capelli raccolti in un elegante chignon e scarpe dal tacco vertiginoso che le davano un portamento da statua greca.
Il primo oggetto mostrato agli eventuali acquirenti fu un bel vaso in stile orientale: la ragazza lo mostrava tenendolo in mano con molta grazia e delicatezza. Prezzo di partenza centocinquanta euro. Le offerte arrivarono fino alla cifra di duecentottanta, proveniente da qualcuno al telefono – come disse il banditore – e al suo «tre» fu aggiudicato allo sconosciuto compratore.
Si susseguirono per circa due ore e mezza tutta una serie di vasi, quadri, oggetti vari tra i più disparati – da alcuni bastoni da passeggio a vecchi soprammobili di dubbio gusto che, però, vennero tutti comprati.
Aveva gli occhi quasi del tutto chiusi e stava per abbandonarsi a un meraviglioso sogno, quando venne scossa dalla voce del banditore che annunciava l’arrivo del pezzo più pregiato dell’asta, nonché l’ultimo dell’intera serie. Uno sforzo sovrumano le consentì di aprire gli occhi e prestare seriamente attenzione. L’assistente rientrò sul piccolo palco creato per l’occasione con un foglio in mano: si trattava del contratto della casa per cui era giunta fin lì.
Il banditore iniziò a esporre le caratteristiche della proprietà. Due piani, di circa tremila metri quadrati l’uno, così suddivisi: al primo piano, oltre al grande ingresso, quattro sale, l’immensa cucina, tre bagni e diverse stanze – al momento adibite a studi o depositi – e una maestosa biblioteca, mentre sul retro una spaziosa veranda dava sul grandissimo giardino di circa mille ettari, che girava tutto intorno alla casa – una parte adibita a orto, un’altra occupata da una serra, al cui interno venivano coltivati sia fiori che frutti –, una grande piscina e una piccola stalla, adatta a ospitare due o tre cavalli. Il resto del giardino era adornato con alberi secolari e cespugli di rose e altri piccoli arbusti; il piano superiore, invece, comprendeva venti stanze – tutte dotate di bagno personale –, nonché la grande stanza padronale appartenuta ai signori di quella dimora, ormai tutti defunti. L’uomo continuava a parlare ma lei, nella sua testa, già immaginava come avrebbe allestito le camere, come – insieme a Jessica – avrebbero ridato vita e colore a quella casa ormai chiusa da anni.
Era il turno di entrare in scena: con la cifra base di quattrocentomila euro si diede il via alle contrattazioni.
Non era prudente mettersi subito in mostra: attirare l’attenzione troppo presto avrebbe significato far alzare inutilmente il prezzo! Optò allora per un atteggiamento più pacato e stette quanto più possibile sulle sue, per aumentare le possibilità di capire con chi avrebbe dovuto “lottare”.
La prima paletta che si alzò era di un signore in penultima fila, poi rilanciò una signora e ulteriormente qualcuno tramite il telefono. A quel punto erano arrivati a cinquecentomila euro.
Dalla zona telefono non arrivavano rilanci e nemmeno dalla signora in seconda fila. Capì che il suo unico vero avversario sarebbe stato il distinto signore in fondo alla sala. Era una partita che andava giocata con calma e strategia, così decise di lanciare la sua prima offerta: cinquecentocinquantamila euro.
Il banditore stava per dare la chiusura ma, come previsto, in penultima fila si alzò una paletta che rilanciava di altri cinquantamila euro; rilanciò a sua volta e nuovamente lo sfidante, finché non offrì la cifra di settecentomila euro, pregando con tutta se stessa che l’altro acquirente non rilanciasse.
La sua buona stella quel giorno probabilmente era dalla sua parte e, dopo un tempo che sembrò infinito, sentì il «tre» che le consegnava la vittoria.