“Fiore frutto foglia fango” di Sara Baume (NN Editore)

Delicato, leggero come una carezza e profondo come la solitudine, questo romanzo d’esordio è di una tenerezza disarmante nell’indagare con precisione chirurgica la relazione fra un uomo anziano e molto solo, Ray, che vive in Irlanda nella casa che era del padre e Unocchio, un trovatello cieco da un occhio, appunto, con cui entra immediatamente in sintonia.

Sono entrambi soli, abbandonati e un po’ difettosi. Forse per questo si riconoscono subito.

Il racconto della solitudine di Ray che si dedica con amorevoli cure al suo nuovo amico è anche l’occasione per riaprire vecchie ferite, come il rapporto con il padre che emerge quale presenza trasparente da ogni suppellettile, da ogni alone sulla carta da parati, su ogni mobile e soprattutto nella memoria del protagonista.

Unocchio è tutt’altro che placido però e questo scardina le certezze di Ray, che ormai legato al suo nuovo amico, decide di mollare tutto per lui, fare quello che non ha fatto mai, rinunciare alle sue sicurezze, lui che è schivo e difficile nei rapporti, abitudinario e il martedì va sempre alla posta, deve ricostruire un mondo nuovo a partire da loro due.

C’è molta natura, il silenzio degli alberi, paesaggi da sogno descritti abilmente. Il creato colma il vuoto che Ray ha fatto intorno a sé, Unocchio accorcia le distanze fra lui e la vita. Sembra quasi un libro tattile, pieno di fiori, profumi, atmosfere di stagioni che mutano insieme alle loro esistenze in un continuo divenire che è la vita.

Estratto:

Corre, corre, corre. E non ha mai corso così. È come la piena che schianta la diga. Si riversa giù per il fianco della collina e scava nell’erba un canale largo quanto il suo corpo. Inciampa nelle impronte degli zoccoli. Spiana gli steli dei seneci. Denti di leone e mordigallina, ortiche e acetoselle. Stavolta non può fiutare, frugare, abbuffarsi. Non ci sono sbarre d’acciaio a bloccargli lo slancio, catene da tendere al massimo, gente che urla lusinghe e minacce per farlo tornare. Stavolta è arrivato più in là di dove abbia mai spinto lo sguardo, è oltre la linea dell’orizzonte, oltre ogni dosso e curva ormai mandati a memoria.