“L’Abbandonatrice” di Stefano Bonazzi (Fernandel)

Stefano Bonazzi, L'abbandonatrice
Stefano Bonazzi, L’abbandonatrice
“L’Abbandonatrice” di Stefano Bonazzi (Fernandel)

Questo romanzo mi ha catturata subito. Si tratta di uno di quei libri che, sfogliato in libreria, non puoi fare a meno di portare con te. Dunque, combattuta fra il divorarlo e assaporarlo, l’ho letto in pochi giorni per poi riprenderlo con calma e cogliere le sfumature che mi erano forse sfuggite.

“Vedi? È come se tra il tasto bianco e quello nero si fosse insinuato un nuovo tasto. Un tasto blu». Diamante osserva le tue dita danzare sui tasti sfiorandoli, come se la materia stessa, la gravità, l’atmosfera, la carne e la pelle fossero solo dettagli superflui. Tu suoni, di nuovo. «È curioso, perché mentre cantanti e chitarristi riescono a produrre questo suono con facilità, noi pianisti siamo costretti a suonare entrambi i tasti. Sono note che non esistono sul pianoforte. Sono come fantasmi». Diamante aggrotta la fronte. «Non si può eseguire sullo strumento, la nota blu, se non con questo stratagemma».”

La storia è semplice ma narrata con sapienza. Si apre con un’informazione dirompente: Sofia è morta. Davide, aspirante fotografo, dal temperamento fragile e indeciso, è destabilizzato alla notizia che la sua migliore amica si sia tolta la vita, vola così a Londra, dove scopre che Sofia ha lasciato un figlio, un adolescente difficile e oppositivo, che gli mette sottosopra l’esistenza.

Soprattutto perché Davide vive con Oscar, che non prende benissimo questo nuovo ingresso in famiglia.

“Descrivimi. Descrivimi come se fossi una delle tue fotografie. Ti prego, Davide, ho bisogno di vedermi».
Poi invece ti addormentavi sulla mia spalla. Eri così teso ed esposto alle ombre degli inganni, immaginavo mostri ovunque, pronti solo a divorarti.”

Ma la storia è anche il pretesto per scoprire di più della vita di Davide: il rapporto con i genitori che non hanno mai accettato veramente le sue scelte di studio, lavoro e vita privata. La scrittura scava a fondo nel suo animo di ventenne, quando si avvicina a Sofia che da vera amica condividerà con lui sofferenze e delusioni, amandolo di un amore totale, senza confini e proteggendolo come meglio può.

Senti, ti va se ci rivediamo? O devo aspettare il prossimo attacco di panico per invocarti?»
«Non prenderci gusto. Non basta qualche carezza e una tisana. Torneranno». Restò immobile, assente, il tempo di un sospiro. «Ok, Davide. Lasciami il tuo numero. Ma ti chiamo io».
«Non so neanche il tuo nome».
«Te l’ho detto prima, ma eri troppo impegnato a dar spettacolo. Mi chiamo Sofia».”

Sofia non ha una vita più facile, anzi, sebbene si preoccupi per Davide, dovrà fare i conti con i suoi insuccessi: una madre difficile, un figlio da crescere sola a Londra, un lavoro precario che è più una passione.

Ma tutti i personaggi sono tratteggiati a tutto tondo. Di Oscar, il compagno di Davide, scopriamo pian piano le grandi fragilità. di Diamante, il figlio di Sofia, vediamo le ferite e i vuoti incolmabili lasciati da una madre assente che delle stesse colpe accusava la propria madre.

“Resta con me questa sera». La voce di Sofia suonò come una preghiera.
«Qui? Intendi proprio qui, sotto la tangenziale?»
«Non voglio tornare a casa, stasera. A casa mia non c’è nulla, e il nulla è l’unica cosa che mi terrorizza davvero».
«Cosa c’è che non va in te, Sofia? Voglio capire».
«Non ci conosciamo abbastanza. Forse ho fatto una cazzata a portarti qui. Forse così ti perdo».
«No che non mi perdi. Che pensi? Voglio solo sapere che cos’è successo. Voglio sapere tutto di te, Sofia».
«Ok. Però sediamoci, ho bisogno di fumare».”

Una domanda fondamentale rimane dopo la lettura: amare i figli è una scelta?

Questo romanzo affronta tematiche difficili: la paura e le fragilità, la crescita e il cambiamento, ogni azione costringe ad affrontare le conseguenze e, infine, non si può chiudere il passato in soffitta, non si può fingere che non sia accaduto.

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