Le Cose dell’Orologio di Mario Borghi

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Le Cose dell’Orologio di Mario Borghi

Una governante, un capostazione, la battagliera signorina Piccionetti, innamorata segretamente del maresciallo dei Carabinieri, un meccanico disonesto e altri personaggi – e circostanze – all’apparenza stravaganti: ecco chi e cosa ruota attorno alla confessione, forse inverosimile, forse no, di chi ha deciso di rubare l’orologio di una stazioncina ferroviaria, senza però aver tenuto conto del proprio passato. Tutta gente che mette in atto le proprie aspirazioni a prescindere dalle conseguenze; persone che non riescono a resistere alle proprie manie. Una storia grottesca, con un pizzico di filosofia spicciola, dalle tante verità.
Prefazione di Gaia Conventi

 

Recensione:

Le Cose dell’Orologio di Mario Borghi

Questa storia ironica e onirica al contempo, scorre veloce fra le righe imbastendo situazioni surreali e spassosissime. Si delinea dalle prime pagine il profilo del paesino derubato di un simbolo insostituibile: l’orologio della stazione. Dalla sparizione parte un groviglio burocratico che impedisce persino di sostituirlo perché non si può cambiare qualcosa che non c’è. Allora si mettono all’opera i personaggi, esemplari nella loro bizzarria, come la pettegola del paese, il maresciallo imbrigliato dalle regole e Anna, la mia preferita, sognatrice e impalpabile, vendicativa e irreale nel senso di fuori dalla realtà al punto che finito di leggere vien da chiedersi se sia mai esistita.

Quella sparizione aveva scatenato un dramma,
altroché.”

La vicenda è narrata dal ladro, altro personaggio sopra le righe, che non delinque per necessità bensì per diletto: lui recupera oggetti destinati a esser sostituiti (una vecchia cabina telefonica, una collezione di dischi) e li ammira, perché divengano immortali attraverso i suoi sguardi di apprezzamento:

Insomma, mi decisi.

Quell’orologio mi piaceva troppo e lo rubai.

L’idea era nata così, per gioco. Io giocavo spesso,
anche se quegli scherzi comportavano cose di cui
trascuravo la gravità.
L’orologio, il premio, era lì, in bella vista, e più
lo guardavo, più lo sentivo mio. Lo rubai una not-
te, nonostante la sua resistenza e le proteste del
vento. L’operazione riuscì alla perfezione, la for-
tuna del principiante e quella degli audaci ne auto-
rizzarono il trasferimento di proprietà.”
L’orologio, come i personaggi, ignora il suo nuovo proprietario che come un fantasma si muove indistinto fra altre ombre e riflette sui paradossi della realtà, va avanti, si ferma, gira al contrario, si illumina e poi spegne:

Lo richiusi, rimisi al loro posto viti e bulloni e

scesi dal soppalco. Giunto a terra alzai lo sguardo:
sembrava intento a pensare ad altre cose.
Percepivo le sue pulsazioni di vita. Mi stava di-
sapprovando, e quando un oggetto disapprova il
padrone non è una bella cosa.
Poi un giorno me ne accorsi e per poco non mi
venne un colpo: le lancette giravano al contrario.
Ripercorrevano le ore, anziché aggiungerne di
nuove.”
Nulla è detto per caso, neppure la scelta del mercoledì per un incontro che (insensato in quel giorno) gli cambierà la vita, neppure il riferimento alla signora del terzo piano.

Parliamoci chiaro: il mercoledì è un giorno inu-
tile, per non dire stupido. Lo conferma anche un
modo di dire: “sei sempre in mezzo come il mer-
coledì”. Il mercoledì è come un pezzo di plexiglas
sbilenco messo lì provvisoriamente con due viti
per tenere unite le due parti della settimana. Il
mercoledì non ha un suo perché, nessuno ricorda
le cose del mercoledì, nessuno fissa appuntamenti
il mercoledì, nessuno fa progetti che prevedano il
mercoledì. Io spesso dimentico anche di averlo
vissuto, quando arrivo al fine settimana.
Il mercoledì è come il terzo piano di un palazzo.
Sta lì, insipido, buono solo a essere citato, a dare
alloggio alla famosa signora pettegola. Mentre le
cose più importanti si svolgono altrove.”
Al di là del finale sorprendente, ciò che risalta è la necessità per quella piccola comunità (ma siamo tutti noi) di trovare conforto in una risposta definita, che fughi qualunque dubbio e ristabilisca l’ordine: ci vuole un colpevole e se al prescelto la verità sta stretta, gliela si adatta e si trovano anche dei testimoni pronti a giurare che c’era proprio da aspettarselo.
Questo di Mario Borghi è un noir vivace e ricco di sorprese, piacevole da leggere e ben scritto.

Anita