Linguaggio, comunicazione e questioni di genere – 15 marzo Lecce

Linguaggio, comunicazione e questioni di genere

 15 marzo Lecce

 

Giovedì pomeriggio sono stata all’incontro organizzato dal Comitato Pari Opportunità sulla violenza di genere nel linguaggio.  Era il settimo appuntamento di un percorso pensato per sensibilizzare sull’argomento, ma agli altri non ero andata principalmente perché non lo sapevo. Peccato!, almeno a un altro mi sarebbe piaciuto partecipare.

Alcune riflessioni le ho fatte ancora prima dell’inizio dei lavori e le condivido sperando che qualcuno mi commenti, perché vorrei conoscere anche altri punti di vista.

I relatori erano donne. Mentre nella platea di ascoltatori c’erano anche uomini, a relazionare erano quasi solo donne. Il che ha senso, ma mi ha fatto pensare che il Convegno sia stato pensato da donne, per le donne e indirizzato principalmente a donne e a quegli uomini che già dimostrano sensibilità all’argomento (o che hanno bisogno dei crediti per la formazione continua). E allora perché non pensare a un convegno per uomini? Dove si parla della violenza di genere e delle distinzioni di genere che facciamo noi donne. Non certo per metterci alla gogna, ma anche noi spesso denigriamo gli uomini, lo facciamo di continuo. Non li uccidiamo (quasi mai), e nemmeno possiamo definire violenza il nostro agire e pensare, ma spesso trasmettiamo ai figli, e alle figlie soprattutto, che gli uomini sono incapaci e tendenzialmente stupidi. E allora, se organizzassimo un incontro su questo, non riusciremmo forse a coinvolgere di più gli uomini e sensibilizzarli anche sul nostro punto di vista, sulle loro discriminazioni? Non sto paragonando le due cose, sto dicendo che ho l’impressione che in questo modo si comunichi con una minoranza di loro, che ci sarebbe bisogno di qualcosa di diverso per coinvolgere quanti più uomini possibile, soprattutto quelli che non partecipano, quelli che liquidano come cavolate iniziative come il convegno, che sono poi quelli che spesso usano violenza, proprio perché non capiscono, perché hanno una mentalità diversa. Appurato che sia necessario un cambio di cultura per fermare la violenza contro le donne, se ce la cantiamo e suoniamo sempre tra di noi, sarà difficile e lungo il cammino per coinvolgere gli uomini ed eliminare questa piaga. Mi sembra sempre, quando ci sono questi eventi, che  si mantenga, per così dire, il cielo diviso a metà. E che siamo un po’ troppo autoreferenziali.

 

Di che cosa si è parlato?

Di tante cose. Alcune molto interessanti. Mi rendo conto che, nella mia personalissima classifica di gradimento, il punteggio maggiore va a chi ha detto qualcosa che ignoravo e che ha innescato in me dei ragionamenti e riflessioni. Per cui alcune cose che sono state dette potevano essere oggettivamente interessanti, ma non costituendo una novità per me, le ho trovate piatte.

Con questa premessa, potrete comprendere meglio la parzialità di questo articolo.

Iniziamo dai saluti: ho apprezzato molto, moltissimo, il saluto di Sara Mazzeo, consigliera dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Regione Puglia. Mi è piaciuto molto il ritmo e i semi che ha gettato. Nulla di nuovo per me: il video Il corpo delle donne di Lorella Zanardo lo avevo già visto e se ne era parlato diffusamente in un altro percorso del 2010, a Milano… storia vecchia, ma per me molto istruttiva. Eppure mi rendo conto che in molti non l’hanno visto e questo è un peccato, perché è uno spunto di riflessione; come ha sottolineato la Mazzeo, citando la Zanardo, la televisione ci fa vedere noi donne con occhi maschili. Mi sarebbe piaciuto, e ne avrei colto pienamente il senso, se avessero dato spazio per un intervento anche a Sara Mazzeo, invece mi sfugge il perché sia stata invitata solo come rappresentante, e non come relatrice.

Passando agli interventi, ce ne sono due che mi hanno colpita in particolare, e un terzo di cui ho apprezzato il messaggio.

Il primo è quello dell’avv. Altavilla.

Voi lo sapevate che fino a pochi mesi fa l’aver partorito non era considerato “legittimo impedimento” per rinviare un’udienza? Non voglio dire: ha partorito tre mesi fa, può presenziare. No: ha partorito ieri o addirittura oggi, e magari è ancora in ospedale. La decisione era rimessa alla discrezione del giudice, che non sempre rinviava. Hanno avuto avuto bisogno di far fare una legge che mettesse per iscritto che il parto costituisce legittimo impedimento! Ma ci pensate? Gli avvocati! Assurdo è dire poco. Assurdo che abbiamo bisogno di una legge, assurdo che ancora, nel 2018, esistano in Italia situazioni simili. Assurdo che proprio l’ambiente che dovrebbe tutelare le persone tramite leggi e saggezza, che dovrebbe mettere in pratica l’uguaglianza di fatto, oltre a quella di diritto, che spesso fa storia, che in molti casi anticipa, paradossalmente, il legislatore, si limiti in queste situazioni a un’interpretazione letterale e non badi alla ratio. Be’, sono contenta che le avvocate (e gli avvocati che le hanno sostenute) si siano battute e abbiano ottenuto per legge il rispetto di un loro diritto.

L’altro intervento che mi ha lasciato qualcosa è quello di Alina Spirito, direttrice di Lecce News.

Ha parlato del Manifesto di Veneziadell’importanza delle parole e del dovere dei giornalisti di riportare la notizia in maniera corretta, ma anche delle difficoltò che a volte incontrano.

Può capitare allora che di una trans scrivano “lui” perché così recita la carta di identità. Il giornalista, dice Alina, ha il dovere di andare oltre. Il loro modo di riportare la notizia, influenza la notizia stessa, il messaggio che si vuol trasmettere. In questo senso aiutano molto i social, che costituiscono un canale diretto e privilegiato per i lettori di esprimere la propria opinione, di chiedere una correzione. Social e non solo: i lettori restano i primi critici e suggeritori per i giornalisti.

Tra velocità nel dare una notizia e l’approfondimento della stessa, che cosa bisogna preferire? A volte è meglio dare subito la notizia in maniera fredda e impersonale e rimandare a un momento successivo l’approfondimento.

Mi è piaciuto molto, e condivido in pieno, il discorso, presente anche nel manifesto di Venezia, per cui non esistono violenze di serie A e violenze di serie B. Una prostituta stuprata o uccisa, non è un pochino meno stuprata o un pochino meno uccisa di una qualunque altra donna. Il fatto che sia una prostituta non la rende meno degna di essere rispettata e la sua violenza raccontata. Ma qui, mi dispiace dirlo, è colpa anche nostra, di noi donne, che per prime, troppo spesso, consideriamo le prostitute donne di seconda categoria, che le disprezziamo e non le rispettiamo.

Chi mi conosce lo sa, con Anita ne abbiamo discusso a lungo, dell’utilizzo che si fa della termine “puttana”, anche nei libri. Inorridisco ogni volta che leggo frasi del tipo “Roma è come una puttana”, o altre similitudini. Le avverto sinceramente come un’offesa a tutte le donne. Non ve lo so spiegare in poche parole, magari più avanti dedicherò un articolo a questo, ma mi si attorciglia lo stomaco ogni volta.

Scusate la divagazione, torno al convegno.

Il Manifesto è di Venezia perché lì si è laureata la prima donna nel mondo, non solo d’Italia, perché Venezia ha dato i natali a Tina Anselmi, ed è stato firmato il 25 novembre (2017), giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Il Manifesto dice anche di utilizzare il termine femminicidio.  Quando una donna viene ammazzata, quello è il termine da utilizzare. Così come si invitano i giornalisti a fare un uso corretto delle parole, senza andare alla ricerca di sensazionalismi o facili “clic”. Si chiede anche la par condicio di genere nei talk show e nei programmi di informazione. E chi ci pensa? Siamo talmente abituati a vedere gravi distinzioni di genere anche in quel campo che non ci facciamo più caso.

Infine si è parlato anche di linguistica, di come alcuni nomi non siano stati finora declinati al femminile perché non ce n’era bisogno. La linguistica ci dice che è corretto dire avvocata, ministra e sindaca, e che la lingua, essendo in continua evoluzione, si adatta alla società e la rispecchia. Non è la linguistica a decidere se esiste un sindaco donna, è il sindaco donna che esiste e quindi la linguistica si adatterà chiamandola sindaca.

Si è detto anche altro, ma, come anticipato, ho riportato quello che mi ha colpita e che ricordo.

Daniela