Askja – Ian Manook (Fazi, collana Darkside)

Kornelìus è tornato, questa volta in Askja. Non è molto amato dai suoi capi, dopo il casino combinato a Heimaey, aver violato tutte le regole, ma è il poliziotto più amato d’Islanda.

Gli affidano due casi: un cecchino che spara ai monumenti islandesi, senza per fortuna ferire o uccidere nessuno, e due scene del delitto, con due presunti colpevoli e nessun cadavere.

Una trama interessante, forse la più interessante che abbia letto di Manook. Uno sviluppo inedito, un thriller che non ha nulla del thriller. E poi la memoria come fil rouge di tutto Askja. Non so se sono io che ho letto il libro in maniera diversa dal solito o se è l’autore ad aver modificato un po’ il suo impianto. Per molti aspetti uno dei migliori libri di Manook: le cose non sono mai come sembrano, e tutti dovremmo fermarci un momento a riflettere, a considerare altri punti di vista prima di sparare sentenze, a cui poi ci aggrappiamo come a un’ancora di salvezza.

La scena in cui Kornelìus imita Robin Williams ne L’attimo fuggente è magistrale per il richiamo a quel meraviglioso film e perché in quelle poche righe assistiamo all’evoluzione di alcuni personaggi, al loro cambiamento consapevole, al loro andare avanti, fare un passo in più. È un passaggio forte, determinante. E il lettore segue “Comesè” e Kormelìus, li sente più umani, finalmente allusa portata, quasi dei compagni di banco.

Kornelìus è un eroe solitario: un troll scostante, burbero, intrattabile, fuori dagli schemi, ma pragmatico, nessuno riesce a stargli dietro. È solitario più per necessità che per volontà.

“Fa’ il tuo lavoro, Botty, perfeziona l’inchiesta, rafforza le prove materiali, chiarisci il movente e indaga sulla vittima. Ritrova il suo corpo, se ci riesci. E per ora non dire niente a nessuno del modo in cui quel tizio ti è sfuggito di mano”.

Ma dicevo del tema della memoria, che corre per tutto il libro. La memoria per conoscere il presente, la memoria manipolata, che cambia ciò che siamo, i nostri credo. La memoria come fondamenta della personalità e della cultura di un popolo. Come può cambiare la percezione che un popolo ha di sé se si manipolano gli eventi, se si tacciono le brutture e si esaltano le bellezze?

Come si può comprendere il mondo che ci circonda se ci rifiutiamo di vedere come sono andate veramente le cose, se non accettiamo di mettere in discussione il nostro punto di vista, se non saliamo sulla cattedra per cambiare la prospettiva?

Tutto questo Ian Manook, in Askja, ce lo mostra in maniera diversa. Mette in scena balletti sbilenchi, assassini che non ricordano di avere ucciso, rivelazioni taciute per trent’anni, che una volta rivelate costringono la persona a riscrivere la propria storia. La memoria è anche una figlia che ritorna a casa e che ti spiega che non ti ha mai odiato, che sperava che tu la “salvassi”, che ti arrabbiassi per mostrarle che ci tenevi a lei, mentre tu eri troppo ferito per muoverti.

“Eri un buon padre, un padre normale”.

“Normale!”, esclama Kornelìus. “E ti sembra un complimento?”

“Ma è un complimento. Normale con alti e bassi, con punti di forza e momenti di debolezza, pregi e difetti. Un padre non deve atteggiarsi a supereroe, tocca ai figli immaginarlo così“.

Aspettiamo il terzo capitolo, per vedere l’evoluzione, le nuove relazioni, la memoria di Kormelìus ricostruita, adattata alle nuove scoperte.

“Non è come se fosse la fine, però!”

“Perché no? Ma non dimenticare che, se ogni fine è una sera, ogni sera è la vigilia di un nuovo mattino. In altre parole…”.

“Chiudi il becco, Spinoza, non vuoi fare uno spoiler?”

Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea

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