“Biglietto blu” (Einaudi 2021) è il secondo romanzo di Sophie Mackintosh, scrittrice britannica già candidata al Man Booker Prize nel 2018 con il romanzo di esordio “The Water Cure”.
È un libro suggerito da Giulia Ciarapica per il gruppo di lettura dell’Accademia Molly Bloom e che sarà discusso nel live del 13 dicembre sulla pagina Facebook della scuola di scrittura.
La vicenda parte dal presupposto che sia il sistema sociale e non una vocazione a determinare il destino delle donne: con una lotteria viene stabilito chi dovrà fare figli e a chi sarà vietato riprodursi. La protagonista riceve il biglietto blu, quello che le permette di condurre la vita come vuole, nella libertà sessuale, economica e lavorativa che desidera.
Eppure la libertà non sempre è percepita come tale. L’esistenza di un obbligo non è per tutte una condizione facile: se entrano in gioco l’istinto, la paura o il senso di inadeguatezza nessun biglietto regge, bianco o blu che sia.
Punti di forza
Ho apprezzato il fatto i personaggi femminili in “Biglietto blu” siano abbastanza variegati da rappresentare molte sfaccettature della maternità. Il tema è talmente soggettivo e magmatico che nel momento in cui lo si affronta si rischia anche di stigmatizzarlo o di schierarsi. In questo, invece, mi sembra che l’autrice sia stata abbastanza corretta.
“Quando ebbi smesso di piangere, mi tirai su a sedere con le braccia intorno alle ginocchia e osservai gli agricoltori che coltivavano i campi, in ginocchio con le mani a coppa intorno ai germogli verdi. Le teste avvolte in un cappuccio o nella garza per proteggersi dai pesticidi. Che bello essere una persona che faceva crescere le cose, che vangava il suolo e aspettava. Sembrava così semplice.”
La mia sensazione è che Sophie Mackintosh non ha fatto del suo romanzo un’apologia o una detrazione al senso materno, ma ha creato per i suoi personaggi una panoramica più ampia, in cui semplicemente si mette in discussione se sia giusto o meno imporre a qualcuno il modo in cui vivere un sentimento atavico.
Però, però, però…
Proprio perché inafferrabile e misterioso, questo tema è un bosco intricato in cui avventurarsi: lo stesso in cui si rifugiano le ribelli, succubi delle proprie variazioni ormonali e del proprio istinto di sopravvivenza. Dal mio punto di vista la trama piano piano diventa un po’ troppo rocambolesca; diversi episodi verosimili vengono un po’ offuscati da altri leggermente forzati, in cui sinceramente ho visualizzato donne con pance posticce, che si muovono a scatti come nei videogiochi.
L’intera narrazione, inoltre, ha uno stile un po’ trasognato e non sempre sono riuscita a immaginare chiaramente le situazioni.
“Pensavo solo al benessere, e quant’era remota per me quella sensazione. Il benessere era un luogo dove non potevo andare. (…) Il benessere era una condizione permanente, non il continuo mutare del mio corpo così com’era adesso.”
Al netto dei miei “però”, affrontare la lettura “Biglietto blu” significa comunque prendere in considerazione più punti di vista sul senso materno. Lo consiglio nel caso si abbia bisogno di fare chiarezza sul proprio o di comprenderlo dal di fuori.
Cristina Mosca