“Canne al vento” di Grazia Deledda (Giunti)

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“Canne al vento” di Grazia Deledda (Giunti 2018)

“Canne al vento” è un bellissimo romanzo di Grazia Deledda, unica donna italiana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura (nel 1926). È stato pubblicato nel 1913 dopo essere uscito a puntate su “L’illustrazione italiana”.

Cos’è “Canne al vento”

“Canne al vento” è ambientato in Sardegna e ha una cadenza dolce e inesorabile come le stagioni. Con frequenti spostamenti temporali entriamo sempre più nella storia delle quattro sorelle Ruth, Ester, Lia e Noemi (tutti nomi biblici, non a caso), …che in realtà rimangono in tre, …che in realtà rimangono in due.

Le sorelle costituiscono un nucleo femminile pesantemente condizionato dall’intervento dell’uomo,. Le donne in questo romanzo sono silenziose ma con gli occhi eloquenti, pieni di dolore o di collera. Il futuro dipende quasi mai da loro.

“Siamo proprio come le canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento”

“Sì, va bene: ma perché questa sorte?”

“E il vento, perché? Dio solo lo sa”

L’equilibrio famigliare, nell’attesa improduttiva di un marito, viene rotto dal giovane Giacinto, il nipote. Per accoglierlo, le sorelle dovranno combattere con il loro orgoglio e lascio a voi scoprire se saranno premiate o meno.

Ma il protagonista è soprattutto Efix, “piccolo e nero”: un servo legato alle sue donne dal senso di colpa, in una ricerca disperata di espiazione che lo porterà perfino a vivere tra i mendicanti.

Punti di forza

Che bella, la scrittura di Grazia Deledda! Che fascinazione i suoi luoghi, i folletti, i fantasmi. Ci mostra una Sardegna mistica e ruvida, rurale e povera, ambiziosa e disperata. È tutto così riarso e insieme verdeggiante, polveroso e al tempo stesso netto; è in bianco e in nero, con gli scialli come ali che non possono essere usate per volare via. E i personaggi ridono e piangono insieme come il quadro della Maddalena.

“Com’era pallida, e come il suo viso era giovine e vecchio allo stesso tempo! L’orgoglio, la passione, il desiderio di spezzare la sua vecchia vita miserabile, e coi frantumi ricostruirsene un’altra, nuova a forte, le ardevano gli occhi.”

Ho riletto questo romanzo nell’edizione integrale della collana Passepartout di Demetra (Giunti, 2018), curata da Paolo Fabrizio Iacuzzi, che fa due cose molto belle.

La prima è chiedere a uno scrittore di riassumere il romanzo in dieci parole chiave. In questo caso lo ha fatto il poeta Gian Mario Villalta, estrapolando, tra le altre, “paesaggio”, “emancipazione” e “ingenuità”.

La seconda è concludere l’opera con uno specchietto in cui vengono messi a confronto i momenti salienti della vita dell’autore e quelli della Storia e della letteratura circostanti. L’ho trovato molto interessante.

Però, però, però…

Però è solo il primo libro che leggo della Deledda (e per due volte; tra parentesi)! Era tanto che volevo riprenderlo e ho approfittato della challenge di lettura della Locanda dei libri per pormelo come obiettivo del 2022.

La produzione di questa scrittrice è così vasta che per continuare ho solo l’imbarazzo della scelta.

Sapevate che nel 1916 il romanzo “Cenere” di Grazia Deledda è stato tra i primi adattamenti per il grande schermo, negli anni d’oro del cinema muto in Italia? Già Daniela Musini lo cita ne “Le Magnifiche”, sottolineando la partecipazione di Eleonora Duse. Nel suo libro, la Musini evidenzia anche l’ostracismo e la disapprovazione che Grazia Deledda, quinta di sette figli, subì per aver scelto di fare la scrittrice in un’epoca in cui andare oltre la quarta elementare non era considerato lecito, per le donne. Per ribadire la sua diversità non indossò neanche mai il tradizionale abito sardo, a differenza di sua madre, bella e taciturna.

Lo stesso Villalta fa notare, nell’introduzione, come neanche il Nobel abbia contribuito al giusto riconoscimento di Grazia Deledda in Italia.

“Era come il mormorio lontano del mare, il muoversi della foresta al vespero: era tutto un popolo antico che andava, andava, cantando le preghiere ingenue dei primi cristiani, andava, andava per una strada polverosa, ebbro di dolore e di speranza, verso un luogo di luce, ma lontano irraggiungibile”.

Insomma, con quale libro mi consigliate di continuare la mia conoscenza di questa autrice?

Scrivetelo nei commenti qui sotto!

Cristina Mosca