Carmine Sorrentino – intervista

Con Carmine Sorrentino inauguriamo la nostra rubrica di interviste all’autore.

Lo ringraziamo per la sua disponibilità. Cogliamo l’occasione anche per ringraziare l’Agenzia Letteraria Edelweiss, che ci ha messi in contatto.

Per chi se la fosse persa, qui c’è la nostra recensione al suo libro La sabbia di Léman, Bordeaux Edizioni.

intervista a Carmine Sorrentino

D: C’è un messaggio nel tuo libro in particolare che vorresti che arrivasse al lettore?

R: Sì, c’è un messaggio in particolare che vorrei che arrivasse al lettore ed è il seguente: il perdurare di un dolore, per quanto profondo e sentito, è l’unica cosa davvero contro natura per ogni essere umano. Il dolore, come ogni altro stato, ha un suo ciclo che ne prevede l’ineluttabile fine. Spesso, ci si ancora ad esso solo perché il vuoto che può seguire la sua fine fa molta più paura. È un vuoto che si percepisce come una passeggiata in uno spazio senza riferimenti, una camminata nel deserto. Il vuoto non è mai complice. Non è mai duro. Non è mai tenero. Il vuoto è uno specchio, mentre il dolore una condizione.

D: Nel tuo libro hai descritto città e ambienti molto diversi tra di loro, per te che cosa significano Roma, Losanna e il deserto?

R: Nel romanzo Roma è la città d’origine di uno dei protagonisti, Carlo, e allo stesso tempo la “scena ideale” che lo spingerà ad agire in maniera estrema, cioè ad abbandonarla per sempre. Losanna è il luogo di una scelta e di una felice storia d’amore con un tragico epilogo. Il deserto, infine, è il luogo di una possibile alchimia, della trasformazione interiore di Carlo. Per me, invece, Roma è la città che ho scelto per mettere radici, il luogo che mi ha fatto sperimentare le mie scelte di vita e che mi ha visto crescere e maturare. Losanna, una gradevole realtà, una città dove torno spesso perché vivono amici cari e di vecchia data. Il deserto è il mio luogo d’elezione, il luogo dove, ogni volta che ci torno, sento che la mia anima si apre per connettersi, senza resistenze, con la terra e con il cielo. Vorrei prossimamente fare un’immersione di una settimana nel deserto marocchino, “navigando” a vista solo tra le sue dune.

D: Tra tutte le storie che hai inserito nel romanzo, qual è quella che senti di più, quella che quando la leggi, ancora adesso, ti vien da dire “è proprio bella, sono stato proprio bravo!”?

R: In verità, ci sono tante piccole storie che mi piacciono come, per esempio, l’apologo della carpa e della capra, ma forse quella che trovo avvincente e nel contempo poetica è il percorso sulle montagne russe di Sebastien con il vecchio nonno ebreo. In quella storia racconto un rito di passaggio, un’iniziazione a tutti gli effetti.

D: Il commento che ti è piaciuto di più al tuo libro e perché? Può essere anche negativo.

R: Devo dire che finora ho molto apprezzato (e ringrazio chi ha voluto dedicarmi spazio) le varie letture critiche che sono uscite, ma mi è rimasto nel cuore la frase di una recensione, quella di Roberto Di Pietro: “Carmine Sorrentino è un uomo di teatro e di arte, usa le parole come colori, le umanizza al limite del gesto”.

D: C’è qualcosa che ci vorresti dire che non ti abbiamo chiesto?

R: No, non mi viene in mente niente.