“Casa di bambola” è un’opera teatrale scritta da Henrik Ibsen nel 1879. Messa in scena in Danimarca il 21 dicembre, già dopo due settimane suscitava molto clamore e aveva venduto 8000 copie del libro. In una consolidata epoca vittoriana, l’opera metteva in discussione il ruolo della donna, tradizionalmente vincolata alla famiglia e soprattutto all’uomo. Parliamo di un’epoca in cui una moglie non poteva avere denaro proprio: se lo ereditava, questo entrava in legittimo possesso del marito.
Si tratta di un intreccio classico basato su scandali, sotterfugi, ricatti, cose da mantenere a tutti i costi segrete. Nora falsifica la firma del padre per contrarre un debito in banca e il silenzio del bancario costa l’intercessione di lei per un avanzamento di carriera a discapito di una sua amica. Finché, poi, arriva la rivelazione finale: Nora non può più stare in quella casa.
Punto di debolezza
Un consiglio: non ascoltate in audiolibro un’opera teatrale. Potreste essere sfortunati come me e imbattervi in letture un po’ monotòno, diciamo, che poco contribuiscono al pathos e alla finzione.
Mi mancava nel panorama della letteratura vittoriana e sono contenta di aver colmato questa lacuna. Lo svolgimento della trama, però, non mi ha colpito particolarmente, né l’epifania finale di Nora mi è parsa molto collegata al resto della storia.
“Potremo vivere senza pensieri, finalmente. Come ne sono felice! Tranquilla, ecco, senza più preoccupazioni finanziarie”
“Sarebbe già bello avere il necessario”
“No, troppo poco. Avremo di più, molto di più.”
A quei tempi una donna sola non poteva fare nulla. Come in Kitty de “Il velo dipinto” (1925), Nora non ha potuto fare altro che passare dal tetto del padre a quello del marito, rimanendo una “bambolina” riempita di vezzeggiativi e denaro. E quando lo capisce, espone il suo Manifesto di indipendenza.
Però, però, però…
La fine di “Casa di bambola” è inaspettata, sferzante. Mi è parsa però una virata troppo brusca nell’evoluzione della storia: passare da colpevole ad apparente vincitrice è stato un attimo.
“Così, sei pronta a tradire i tuoi doveri più sacri?”
“Che intendi, per sacri doveri?”
“Ho bisogno di dirtelo? Quello che hai verso tuo marito, i tuoi figli”
“Ne ho altri non meno sacri”
“Non è vero. Di quali doveri parli?”
“Dei doveri verso me stessa”
Possiamo immaginare quanta indignazione abbia potuto sollevare nell’Europa vittoriana, dedicata al rispetto della morale e dei valori della famiglia. In quanto elemento di rottura, “Casa di bambola” è da apprezzare e da studiare.
Cristina Mosca