Il cattivo infinito – capire ISIS, di Marco Alloni

Il caTtivo Infinito

capire ISIS

di Marco Alloni

Aliberti Compagnia Editoriale

Dal sito dell’editore:

Una provocazione, una tesi shock sul terrorismo islamico e l’ISIS. E se ci stessero punendo per gli errori dell’Occidente? Se la nostra disumanità avesse generato la loro disumanità ?

Di reportage e saggi sull’ISIS, il califfato che sta terrorizzando il Medio Oriente e spaventando il mondo con il suo volto demoniaco, ne sono usciti parecchi in questi mesi. “Il cattivo infinito” di Marco Alloni, giornalista e scrittore residente a Il Cairo e conoscitore del mondo musulmano come pochi occidentali, è però qualcosa di assolutamente unico, difficile da trovare oggi nelle librerie. Non è un saggio di storia contemporanea o di geo-politica. È un “La rabbia e l’orgoglio alla rovescia”. Alloni si trasforma in un “io” narrante chiamato Omar Collina, e ci rinfaccia tutti i nostri errori e i pregiudizi nell’affrontare la religione del Profeta e i suoi credenti. La tesi di Omar Collina è semplice e bruciante. Il jihad, la guerra santa contemporanea contro gli infedeli, il terrorismo, l’11 settembre e, infine, l’ISIS sono una risposta a quella che lui definisce “l’arroganza antropocentrica” dell’Occidente negli ultimi tre secoli. «Il jihadismo contemporaneo è sic et simpliciter il conferimento al divino del diritto di punire l’umano. È di fatto e infine una vendetta contro l’umanesimo la cui disumanità è convocata al tribunale di una altrettale disumanità». Questa tesi, per quanto paradossale, ci costringe a riflettere, a deporre la passionalità e le risposte di pancia. Perché se «allo sforzo dialogico opponiamo la nostra supponenza, il deserto sarà destinato a estendersi come il cancro che osserviamo intorno a noi». Impossibile che questo libro non faccia discutere.

Recensione

Nella sua scheda personale Marco Alloni, residente al Cairo e convertito all’Islam, si professa

“musulmano ateo”. Ateo per vocazione e musulmano per necessità”, senza peraltro chiarire il senso

di “necessità”, ma tiene a chiarire le ragioni del suo libro e la natura della proiezione immaginifica

che fa della propria persona attraverso il protagonista Omar Collina, anch’egli convertito all’Islam e

divenuto guerriero ISIS:

Il confine fra il mio Io reale e questo Io immaginifico, chiamato Omar Collina, è che nel primo alberga la stessa rabbia, lo stesso orgoglio, la stessa pretesa di onore e onorabilità del secondo. Ma non la stessa lucida follia. Al contrario di Omar Collina, io non inneggio a Isis come a una risposta o a una soluzione – ma come a una problematica.

Con questa sua dissociazione l’autore cerca di fugare ogni dubbio sull’apparente autoreferenzialità

e, una volta affermata la sua totale lontananza dalla cultura e religione che gli avevano dato i natali,

sfoggia una profonda conoscenza di quelle abbracciate seppure “per necessità”.

Il sentimento profondo di odio verso una società che non ha permesso a Omar di raggiungere i suoi

obiettivi, di realizzare i suoi sogni, sono alla base della storia narrata. Sono gli stessi che ognuno di

noi ha coltivato ma che, contrariamente a Omar, tendiamo ad addebitare più al caso, alla sfortuna e,

soprattutto, alle nostre scelte e alla nostra incapacità di affrontare e cogliere le opportunità che la

vita ci offre giorno dopo giorno. Omar, invece, è convinto che la responsabilità delle sconfitte

subite sia da addebitare alla società intera o, perlomeno, alla malvagità altrui.

Sin dalle prime pagine del racconto si coglie il senso del proclama socio politico di Omar, orientato

a sostenere le ragioni che sono all’origine del terrorismo di estrazione islamica dopo averne

abbracciato il ramo più violento rinnegando il proprio passato, ciò che è stato, che ha vissuto o

soltanto pensato.

Nel prosieguo, le confessioni di Omar diventano null’altro che un resoconto di questa sua nuova

realtà, apologia della religione scelta, ma, soprattutto, una difesa aprioristica delle motivazioni che

lo hanno condotto nella lotta armata contro le filosofie e i pensatori occidentali, pure richiamandosi

a loro più di una volta quando riscontra tesi e affermazioni capaci di andare in suo soccorso per

affermare la giustezza del “jihadismo”.

Sentendosi apostolo di un’umanità dominante ed esclusiva, nel raccontare la propria storia, o, per

meglio dire, nel tentativo di portare il lettore alla conversione verso le proprie teorie, il proprio

nuovo Credo, Omar non lesina attacchi e demonizzazioni di tutto ciò che ha attinenza con le altre

filosofie addebitando loro ogni male per assolvere la civiltà a cui si è convertito da ogni critica non

ricordando le atrocità e soprusi da lei attuati nel corso dei secoli per assoggettare le minoranze alle

proprie regole.

Ecco alcuni passi che possono dare il senso della nuova appartenenza del protagonista:

È tempo – per non nascondersi dietro a un dito – di riconoscere che se Omar Collina esagera, non esagera per caso. Se la sua parola è violenta, non lo è per caso. E se il suo sguardo è omicida, lo è per il vibrare remoto di responsabilità, errori e colpe che si annidano nel cuore stesso della civiltà occidentale.

La mia immoralità procede dall’immoralità occidentale. E se dobbiamo fare i moralisti, facciamolo partendo da noi. Cioè da voi.

Parlando della vita passata, quella immersa nella cultura occidentale, afferma:

Vi sono nato, vi hoappartenuto per decenni, ho aderito ai suoi principi, almeno fino alla mia conversione. Ma ora, da qualche anno a questa parte, come se un segreto telos avesse deciso per questa radicale abiura, tale idillio è finito.

Non vedete la bandiera che svetta, nella sua kufica essenzialità, nel suo adamantino verde sempre-verde, sopra l’unione delle coscienze? Non vedete che su quella bandiera campeggia il vessillo di un unico, indissolubile condottiero? Che è nel segno dell’universalismo che muove dal profondo la provvisoria disgregazione?

È di questa fede – di questa fede di unità – che è orfano l’Occidente e paladino l’Islam. E prima ancora – ma è persino superfluo ribadirlo – della fede tout court.

Per lui non esiste che l’Islam e a lui attribuisce ogni sacralità dimenticando che la sua vera origine

va ricercata nell’ebraismo e nel cristianesimo:

Chi rinuncia o si preclude la fede in nome di una scienza matematica fa lo stesso gioco del Cristianesimo quando chiamò l’uomo a misura dell’universo e, abusivamente – secondo il dettato coranico – a immagine e somiglianza di Dio.

Per lui la pace di Carlowitz non è altro che prologo, riproposizione e affermazione della malvagità

occidentale, non ciò che è realmente stato, cioè un atto conclusivo delle varie guerre che si erano

succedute e in cui l’impero ottomano era protagonista di primo piano.

Persino la rivoluzione francese è deprecabile e la distruzione di monumenti antichi, non rispondenti

all’Islam jihadista è cosa giusta perché La conservazione dell’antichità, dei patrimoni dell’umanità,

è un ignorare il nostro avvento.

Il delirio di Omar si materializza nella sua convinzione che

Se non si capisce che ogni terrorismo è identico, non si capirà che il terrorismo islamico è la sublimazione di quelli minori: l’Antipotere di Dio contro il Potere degli uomini. Poi chiamate Dio come vi pare: al tavolo terreno dei futuri negoziati il suo nome è Allah. Il terrorista, muhajid, è un santo. Un vero mujahid nasce con la rimozione-negazione del paradigma di Stato. Mira all’unico Stato, islamicamente e fideisticamente accettabile, che è il califfato.

Nel fornirci un quadro del suo percorso, Omar afferma

Fuggii dall’Europa come si fugge da una storia di vilipendio e raggiunsi prima la Siria di Hafez Al-Assad e poi l’Egitto di Hosni Mubarak, come si ricuce una migrazione ferita. Quasi forzassi la cerniera dalla parte sbagliata del tempo o ricomponessi l’altra metà della Storia … Quando il dettato dell’umanesimo ha pervaso anche il mondo islamico, non resta che la chiamata alle armi della salafiyya.

Nella sua folle corsa verso il jihadismo, è evidente che Omar è pervaso anche

dall’antiamericanismo e antisemitismo e inneggia ai metodi più inumani per l’imposizione della sua

nuova Fede: Il mondo intero deve convertirsi all’Islam e il califfato essere l’incarnazione divina

(non più procrastinabile) del jihad.

Nemmeno il jihad preventivo è ammesso: il jihad come risposta allo spirito trasversale di ogni moderna crociata laica dev’essere offensivo, controffensivo e proporsi finalmente in chiave affermativa e autodeterminata. In ragione di un tradimento mai prevenuto né sanzionato, né ricondotto a dialettica o diplomazia, dev’essere un jihad – come ribadisce Farag – combattente … anche le armi di distruzione di massa, come la balestra al tempo del Profeta, sono ammesse. Verrà il tempo in cui le armi chimiche ne saranno l’estrema opzione… Il terrorismo islamico è l’espressione antropologica dello spirito quando torna mostruosamente a ispirarsi alla natura o a farsene araldo.

Non serve genio o ingegno per diventare jihadisti. Nella penisola del Sinai, accanto a casa mia, alberga Ansar Beit El-Maqdis, non più coacervo di cellule separate e disperse nelle rispettive solitudini, ma coesione olistica del califfato. Da Raqqa, via telematica, gli addestramenti ai miliziani giungono inesorabili. Hamas, le brigate Ezzeddin El-Qassam, assecondano. Dalla Libia, dalla Tunisia, Ansar El-Sharia spalleggia.

Il jihadismo contemporaneo è sic et simpliciter il conferimento al divino del diritto di punire l’umano. La pace uno slittamento di sottomissione: da quella dell’uomo all’uomo a quella dell’uomo a Dio. È di fatto e infine una vendetta contro l’umanesimo. Vedete, voi credete che noi portiamo la morte soltanto. È nella pena di un Cristianesimo desacralizzato che la morte è ancora immorale. No, noi non portiamo la morte soltanto. Noi riattiviamo, attraverso la morte, il sacro.

Fintantoché l’Occidente non prenderà coscienza che questa tragica diade – violenza/sacro, morte/ sacro, sacrificio/sacro, martirio/sacro – costituisce il nucleo fondamentale della riattivazione del divino sull’umano, del sacro sulla ragione, del rito sulla morale, la sua comprensione del fenomeno rubricato, sineddoticamente, come terrorismo islamico non sarà che una apprensione. E il paradigma della morale uno strumento di giudizio perfettamente fuorviante. Per comprendere il terrorismo islamico è d’uopo riqualificare la morte alla luce della sua funzionalità recondita, quella di ripristinare orrendamente il sacro.

In sintesi, si può affermare che Omar ripercorre la storia, spesso adulterandola, soltanto per

affermare le ragioni del suo fanatismo odierno.

Il giudizio che dà Salvatore Ritrovato nella postfazione si può condensare in questa frase:

Egli (Marco Alloni) propone il suo punto di vista. Sul quale si può essere o non essere d’accordo, ma che è ‘autentico’ e non appartiene ad alcun partito, non è frutto di preconcetti né di strategie comunicative. È invece somma di vita vissuta lì, sul posto, e di letture profonde, di prima mano, di autori che in Occidente non sono ancora stati tradotti e chi sa se, e quando, mai lo saranno.

Alfredo