“Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri” di Daniele Germani (Edizioni Spartaco)

"Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri" di Daniele Germani (Edizioni Spartaco)
“Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri” di Daniele Germani (Edizioni Spartaco)

Quando ho letto che si parlava di pazzi e manicomi non ho avuto dubbi e ho voluto leggere questo romanzo di Daniele Germani, mio coetaneo al secondo romanzo.

La narrazione viaggia su tre voci, quella di una donna, quella di un uomo e quella, appunto, del pazzo. Ma il germe della follia è latente in ciascuno di noi, anche perché chi può stabilire i confini che separano una mente sana da una malata?

Gli inizi degli anni Ottanta hanno segnato lo spartiacque nel mondo della sanità mentale, con la Legge Basaglia che ha aperto i cancelli dei manicomi e affidato alla società il compito di accettre, prima e includere, poi, i matti. Il passaggio dal prima al dopo qui è raccontato dalla voce di uno dei matti. Che matto lo è per davvero, rispetto ai limiti razionali entro cui inseriamo questa voce, perchè vuole costruire una bomba per uccidere il padre. Dai tempi di Edipo, questo desiderio è sintomatico della maturazione interiore, che forse lui, il matto, non ha mai veramente vissuto, imbrigliato com’era dentro alle camicie di forza. O più semplicemente, l’idea gli è data dal fatto che ha molto tempo a disposizione e accesso alle risorse. Impiega molte ore, infatti, a studiare chimica e balistica.

Ma il labile confine fra la ragione e la pazzia, dicevamo è molto sottile, e può risiedere nell’ossessione per una nota stonata. Quella di un uomo, padre di famiglia, marito affettuoso, che non riesce a perdonare il farabutto che in pieno mercato un giorno ha sferrato un pugno in faccia a sua moglie. L’ossessione deriva da un oggetto, un’azione, uno sguardo e troppo poco ancora si sa di cosa davvero scateni la follia. Siamo tutti possibili vittime, spesso per fuggire la realtà sembra quasi che il cervello si metta in modalità protezione.

Infine, la voce più dolce, la mia preferita, quella di una donna che ha sacrificato la sua passione per la musica per la sua famiglia. Tante donne tuttora lo fanno, senza rimpianti molto spesso, per non togliere tempo ai loro cari. Ma può accadere un giorno che il desiderio si faccia ingestibile, che costringa a vagare alla ricerca del luogo perfetto, della melodia perfetta. E l’universo congiura perché ciò avvenga, così, per una serie di cosiddette casualità, la donna può trovare il lavoro dei suoi sogni in un negozio di strumenti musicali. Purtroppo però il destino è sempre in agguato.

Incipit

Dal parco arriva un buon profumo, è l’odore di gelsomino che, prepotente, giunge fino a lui.
Il profumo sembra occupare spazio e, quasi come fumo denso, invade aria e narici, penetra nei pensieri, li addolcisce, rendendo tutto più morbido, rilassante.
Il gelsomino è una delle poche piante che resistono al freddo e che per tutto l’anno sprigionano quell’essenza così definita da sembrare quasi irreale per un gelido pomeriggio invernale.
Guarda fuori dalla finestra e si lascia andare a un sospiro. Inspira profondamente. Sospira e poi inspira ancora e allora si calma un po’.
Continua a guardare fuori. C’è qualcosa che cattura la sua attenzione. Un passero vola via da un ramo a un altro. Non si intende di uccelli o di animali in generale, lui si intende di uomini, delle loro teste, di quello che c’è dentro e di quello che pensano.
Per un momento uomo e uccello sembrano incontrarsi con lo sguardo. Poi il passero batte le ali e cambia albero, cambia prospettiva, va a intrecciare il suo breve futuro con qualche altra corrente d’aria e magari a riprodursi, perché quello è il suo istinto.
L’uomo invece lo cerca ancora, ma è troppo tardi, forse l’occhio sarà più veloce del suo volo, ma mai potrà essere più libero, complesso e perfetto. E quindi fugge via dalle sue convinzioni schiave della legge di gravità.
Si sfila gli occhiali e si strofina gli occhi. Lì fuori è quasi il crepuscolo, il cielo inizia a colorarsi di piombo, le nuvole basse a sembrare più pesanti, come le persone, perché la notte questo effetto lo fa. Le persone, poi, hanno un’anima, il che rende tutto più complicato. O forse non ce l’hanno. Certo hanno dei pensieri.
Questa sera i suoi pensieri sono umidi; ancora non ha scritto nulla. Ha letto tanto e dovrebbe fare un riassunto per la prima bozza, ma come scrivere questa bozza proprio non lo sa. Che poi non c’era un granché da leggere. Solo carte falsate dal passato e dagli eventi.
Allora si risiede e le sfoglia, ancora una volta, come se improvvisamente qualcosa potesse illuminarlo e aiutarlo. Ha una scadenza precisa e già sa che non la rispetterà. Quello di scrivere non è il suo lavoro, ma i soldi che ha preso alla firma del contratto gli hanno dato un po’ di respiro. I creditori torneranno presto a bussare al suo portafoglio e quell’anticipo pattuito con l’editore gli serve tutto: ha anche bisogno che gli liquidi il saldo, ma deve consegnare il testo nei tempi e, soprattutto, deve fare in modo che gli piaccia.
Apre le cartelle e i referti. Ci sono lastre di dita rotte, di anche e femori fratturati, di crani lesionati, decine e decine e ancora decine di referti di poco conto, che vanno da un grave caso di amputazione di una gamba per una cancrena con successiva infezione e decesso del paziente sino a banali raffreddori e qualche scarica di diarrea scambiata invece per dissenteria.
In quelle carte non c’è nulla che possa servirgli. Ci sono vent’anni di nulla, di referti poco attendibili, di dottori compiacenti e sfaticati che non avevano la minima voglia di guarire quei reietti della società, quegli ergastolani Senza colpe che, dentro un sistema che di carcerario aveva tutto e nulla allo stesso tempo, scontavano una condanna a vita senza nessun secondo o terzo grado di giudizio ai quali potersi appellare.
Si alza. Si chiede chi gliel’ha fatto fare a mettersi in quell’affare. Avrebbe dovuto dire di no all’anticipo. Non avrebbe dovuto prendere quei quattro soldi, che ha già speso per certi strani vizi che costano. Gli piace il gioco, soprattutto il poker; gli piacciono le notti fumose, il rumore delle fiches e il fruscio delle carte anche quando quelle quattro donne, che non lo seguono quasi mai sulle sue incompiute scale a incastro, gli rovinano la vita una mano alla volta.
Potrebbe chiedere un prestito a suo cognato. Ma sarebbe l’ennesimo, e non vuole complicare una situazione familiare già difficile. No. Si accomoda alla scrivania. Deve mettersi giù a scrivere e presentare qualcosa di buono all’editore. Ma cosa? Non c’è nulla da poter raccontare, in tutto quel materiale non c’è un filo logico.
Dovrà fare chiarezza e al più presto, è una questione complessa che andrà oltre ogni sua immaginazione e non tarderà a scoprirlo, perché questa storia inizia così.

Anita

Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea