Daniela Gambaro ci racconta 10 storie che potrebbero essere vere.
Dieci storie quasi vere sono storie di donne che cercano di stare bene o di stare meglio. Donne che hanno vissuto traumi o una vita normale, senza grossi incidenti, all’apparenza. Ma sono tutte donne alla ricerca di qualcosa, a volte non sanno di che cosa, oppure pensano a qualcosa adi impossibile, quando la felicità è spesso a portata di mano. Si sorprendono a mangiare con gusto il pollo fritto alle 10 di mattina, o a cercare tracce di tartarughe che hanno deposto le uova.
Dieci storie quasi vere è una raccolta delicata, di racconti che spesso toccano nel profondo.
Ci sono due storie molto diverse tra di loro, ma che mi sono rimaste più impresse delle altre per motivi diversi.
Una s’intitola La Llorona, e racconta di una donna che ha dimenticato la figlia in macchina. Al suo ritorno, alla fine dell’orario di lavoro, la figlia era morta.
È una storia che abbiamo sentito tante volte. Ogni volta ci chiediamo come possa succedere che un genitore dimentichi il figlio in macchina, ma anche che è una cosa terribile, che può succedere a chiunque. Perché siamo distratti, perché abbiamo cambiato strada, perché di solito non sta in macchina con noi, perché, perché, perché… Le ragioni sono mille e sono tutte valide, plausibili. CI piace pensare che a noi non succederebbe mai, ma la verità, lo sappiamo tutti, è che accade. Come accadono le cose brutte. E allora io quando leggo di queste madri e questi padri, provo un’infinita tristezza e compassione per loro, perché a me non è successo e spero non accada mai, ma non c’è niente che io possa dire o fare per impedirlo. A volte accade, nonostante tutta l’attenzione.
E se mai dovesse succedere, so che anch’io mi rovinerei la vita, che non avrei voglia di andare avanti, che il senso di colpa mi divorerebbe. E allora, sì, La Llorona mi ha colpita, perché parla di un dolore destinato a non scomparire mai.
L’altra storia è Aderenze, in cui una baby sitter filippina completamente fuori dalle righe, cerca di realizzare il suo sogno e di entrare in convento. Rebecca, la madre del bambino, la aiuta e un po’ per volta, senza accorgersene, stabiliscono un legame difficile da spiegare, fatto di complicità, pollo fritto e poche parole. Mi piace Cherie, la protagonista, fuori dalle righe, che vive in un mondo suo e che a 42 anni sembra ancora un bambina. Mi è piaciuto per l’innocenza, per la spontaneità, perché un po’ di Cherie l’abbiamo tutti, ma non tutti abbiamo il coraggio di mostrarlo.
E poi, certo, anche l’ultima dei mohicani, una stanza in più. Tutti racconti che ci parlano di vita quotidiana, anche nelle stranezze.
Ringraziamo la casa editrice per la copia digitale