E come il vento – di Davide Rondoni (Fazi)

E come il vento

L’infinito, lo strano bacio del poeta al mondo

di Davide Rondoni

Fazi Editore

Dal sito dell’editore:

Un poeta attraversa l’Italia e L’infinito di Leopardi a duecento anni dalla sua scrittura. Una poesia-magnete. Un viaggio nel presente con questo infinito tra i denti e nel cuore. Perché certe opere del genio umano non si possono banalmente “capire”, ma superano ogni tentativo di definizione, si devono piuttosto con-prendere, portare con sé e sempre occorre lasciarsi interrogare, stupire, guidare. Ancora ci fissa negli occhi il ragazzo di Recanati che mormorava “infinito”. Se in Natura tutto è finito, perché l’anima si addolora per il venire meno di ciò che ama e le dà piacere? Cosa – o chi – spinge l’uomo, negli affetti, nelle relazioni, nelle azioni e nei pensieri quotidiani, a non abbandonarsi a una finitudine che accetta ma che al tempo stesso «aborre»? L’infinito è davvero soltanto un frutto della nostra illusione? O lo si può sperimentare? Alla luce della grande letteratura e della vita, accettando anche la sfida con le teorie matematiche di studiosi come Pavel Florenskij, Georg Cantor e Paolo Zellini, e in dialogo con filosofi, critici e poeti di ieri e oggi, Davide Rondoni scopre significati nuovi, e trova in questi versi una potente e meravigliosa bussola per vivere il presente, le sue contraddizioni, i suoi incanti. Un’interpretazione nuova, viva, per abitare non altrove dalla poesia.

«Il ragazzo che mormora “infinito” mi fissa
mentre viaggio in qualche parte sperduta d’Italia
o del mondo. Sai cos’è vivere con l’infinito addosso?
Viaggia, viaggia pure, sembra dirmi.
Ama, soffri, scrivi, abbraccia le cose della vita.
E cerca l’infinito. Sii il suo lupo, il suo mendicante.
Poi mi deposita questa poesia tremante
come una rondine chiusa nel palmo,
un carbone ardente o un cristallo di kryptonite».

Recensione

 

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

Spazi di là da quella, e sovrumani

Silenzi, e profondissima quiete

Io nel pensier mi fingo; ove per poco

Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello

Infinito silenzio a questa voce

Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

E le morte stagioni, e la presente

E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s’annega il pensier mio:

E il naufragar m’è dolce in questo mare.

Sono passati 200 anni da quando Giacomo Leopardi, allora ventenne, compose questa poesia.

Poesia che conosciamo tutti, più o meno a memoria. Amata o odiata, studiata a scuola per forza o con passione. Del resto, secondo me, Leopardi o lo si ama o lo si odia.

Io l’ho sempre amato. Anche se, lo ammetto, questa poesia mi pare di non averla mai capita veramente. E ancora mi sfugge. Però Rondoni, magnanimo, mi tranquillizza:

Molti pensano dunque di conoscere L’infinito. Anch’io lo pensavo.

Invece si scopre sempre qualcosa. Accade come con le persone importanti della nostra vita. Me lo ripeto spesso: le poesie non si capiscono, si con- prendono. Si prendono con sé e per tutta la vita ci parlano, ci stupiscono, ci chiamano.

È bello avere la conferma che ci sia sempre qualcosa di nuovo da scoprire, da comprendere, da vedere, anche in ciò che ci pare familiare.

Il libro di Rondoni parla de L’Infinito, e non solo. Parla della vita: di quella di Leopardi, di quella di Rondoni, della nostra.

La poesia non cambia nulla nel mondo, apparentemente. Se non la materia più dura e difficile: la nostra vita.

Si pone con continuità rispetto ad altri libri dello stesso autore. Interrogarsi sul senso di questa poesia è andare oltre le parole, oltre la vita del poeta, di ciò che voleva dire. È un lasciarsi trasportare, un provare a viverli quei pochi versi. In questo libro Rondoni riesce a farceli ballare intorno. Più che mettere i versi al centro, e quindi definirli, siamo noi al centro e i versi, infiniti essi stessi, ci girano e vorticano intorno, ci portano lontano, ci aprono gli occhi e ci cullano, ci fanno sognare. Sono le porte da attraversare per vedere oltre, per immaginare l’inimmaginabile.

Cosa spinge l’uomo, da sempre e ovunque, a interrogarsi sull’infinito? Leopardi scrive: «dove trova piacere l’anima aborre che sia finito». L’anima aborre… Il punto da cui sorge il problema, come Leopardi indica, è la vita, l’espe rienza.

E poi Leopardi dice: «Non solo la facoltà conoscitiva o quella di amare ma neanche l’immaginativa è capace di concepire qualcosa di infinito, ma solo dell’indefinito e di concepire indefinitamente».

Ho fatto il viaggio con loro e la sensazione che ho, è che loro continueranno a viaggiare verso altri lidi, altri orizzonti, con altre persone, per poi, forse, tornare anche da me. Nello stesso modo o con altre vesti, con lo stesso messaggio o uno diversi, non saprei. E questo è bellissimo, è una sorta di magia.

 Ci sono poesie, e una è questa, che resistono in modo particolare a qualsiasi tentativo di schiacciarle sul la vita dell’autore, sui suoi veri o presunti sviluppi.

La polisemia del linguaggio poetico crea uno spazio dove antinomie e paradossi (non ne è abitata forse questa poesia come tutta l’opera di Leopardi?) possono esistere e significare qualcosa che avviene in noi non come pensiero concettuale ordinato, ma non per questo irrazionale.

Rondoni cerca di spiegarci l’Infinito e al tempo stesso è l’ultima cosa che tenta di fare. Ne parla, ci dice che cosa ha significato per lui in determinati momenti della sua vita, ma mai cerca veramente di spiegarci il senso delle parole, di quella poesia. Lo evoca il senso profondo, ma dircelo sarebbe definirlo, chiudere l’esperienza entro i confini delle parole. Un’esperienza che non è descrivibile, non può essere fissata sulla carta, essendo in continua evoluzione. Un’esperienza da vivere, da assaporare senza mai poterla circoscrivere, come il concetto stesso di infinito.

l’infinito lo si può intendere come qualità di un rapporto, non come quantità

L’infinito è accessibile intuitivamente come campo di possibilità sempre aperto; e in ciò pare analogo alla successione dei numeri che è prolungabile illimitatamente. La completezza, il così detto infinito attuale, è tuttavia al di fuori della nostra portata. Ciò nonostante l’esigenza della totalità sospinge la mente a rappresentarsi l’infinito come entità chiusa per tramite di costruzioni simboliche.

E ancora:

l’esperienza dell’infinito è possibile, è attuabile, è sperimentabile ed esprimibile attraverso il proprio del suo linguaggio, la metafora, o meglio attraverso quel che il suo linguaggio fa accadere, senza necessariamente ricadere in una sfera morale.

Ma allora cos’è l’infinito in cui si può naufragare dolcemente? Cos’è l’infinito come luogo, oltreluogo forse, o altro?

Non ricordavo, o più probabilmente non ho mai saputo, che Leopardi avesse scritto questo capolavoro a soli vent’anni. E io che cosa facevo a quell’età? Niente di significativo, direi. Eppure decise di non pubblicarla, di non inserirla nella prima edizione dei Canti.

Aveva vent’anni. E anche ventimila. Era giovane ma aveva il tempo dentro e addosso.

De Sanctis così lo descrive, qualche anno dopo aver scritto la poesia:

Ecco entrare il conte Giacomo Leopardi. Tutti ci levammo in piè, mentre il marchesegli andava incontro. Il conte ci ringraziò, ci pregò a volercontinuare i nostri studi. Tutti gli occhi erano sopra di lui.Quel colosso della nostra immaginazione ci sembrò, a primo sguardo, una meschinità. Non solo pareva un uomocome gli altri, ma al disotto degli altri. In quella facciaemaciata e senza espressione tutta la vita s’era concentratanella dolcezza del suo sorriso.

C’è poco da dire e poco da aggiungere a questo libro. Ognuno lo legga e ne faccia un’esperienza propria, impossibile da comunicare agli altri completamente, farli partecipi; possiamo solo accennarne, darne un’idea, così come non potremo mai dire completamente che cosa L’Infinito ha suscitato in noi, la prima volta o la centesima. È un girarci attorno, descriverlo per metafore, perché altro non si può fare.

Un modo per ragionarci, rifletterci, prendere spunto e approfondire ciò che abbiamo sentito e che, forse, nemmeno ci siamo accorti di aver provato.

Daniela