“Giuditta e il Monsù” di Costanza diQuattro (Baldini+Castoldi)

“Giuditta e il Monsù” di Costanza diQuattro (Baldini+Castoldi)

Costanza DiQuattro ci regala un nuovo delicato romanzo che ha il sapore di cibi della tradizione e di luoghi dai profumi ancestrali.

Una storia che si dipana fra i le stanze di un palazzo nobiliare fra due ragazzi nati ultimi: Giuditta dopo tre sorelle, nella vana speranza che arrivasse un erede in casa Chiaramonte, e Federico, ritrovato lo stesso giorno per caso sulle scale dell’ingresso e cresciuto dal monsù, il responsabile della preparazione dei pasti a Palazzo.

Giuditta ha un carattere estroverso e fantasioso, coinvolge sempre il povero Federico nei suoi guai e lo costringe ad assecondarla ogniqualvolta le viene in mente un qualche ghiribizzo.

Come quella volta che sono finiti entrambi nel fiume dopo aver mentito all’insegnante di francese.

Giuditta non ha velleità artistiche o nobili come le sue sorelle.

Spirito inquieto, preferisce impegnarsi nelle complesse e articolate fasi della preparazione di piatti prelibati.

Forse perché ultima figlia di quattro, il padre sembra avere uno sguardo benevolo verso di lei, o forse di rassegnazione.

L’autrice ci accompagna per le sale e la vita dei marchesi Chiaramonte accompagnando le vicende di questa nobile famiglia fino al mutar dei tempi, raccontandoci l’amore che in quelle stanze si respira da sempre, a saperlo cercare…

Uno stile elegante, sofisticato ma familiare nei vocaboli ricercati e dialettali, perfettamente mescolati come un ingrediente che insaporisce il piatto ricco di questa narrazione, proprio come il Monsù sa calibrare perfettamente i sapori delle pietanze.

Incipit:

Palazzo Chiaramonte, 29 maggio 1884

«Dite al marchese che non entrerà mai più nella mia stanza, piuttosto mi faccio monaca, mi vado a rinchiudere dalle Benedettine, prendo i voti, se è il caso mi ammazzo ma lui non si avvicinerà mai più al mio letto. Maledetto!»

Da circa due ore la marchesa Chiaramonte sbraitava contro il marito appesa, di volta in volta, alla spalla di qualcuno.

I dolori del parto erano iniziati subito dopo cena ma lei aveva sperato erano solo delle fitte momentanee. Il medico le aveva detto che prima di metà giugno non sarebbe successo nulla e lei si era cullata in questa speranza.

Alle due del mattino, però, aveva capito che la creatura che aveva in grembo aveva rotto gli argini e stava conquistando il suo spazio nel mondo.

La prima ad arrivare fu Maruzza, la cameriera di casa, seguita, come in una solenne processione, da Giannina e Concetta, poi si presentò Gna Mena che avrebbe dovuto agevolare il parto e, infine, con un ruolo del tutto marginale, apparve anche il dottor Galfo.

Tre stanze più in là, invece, con una disincantata flemma il marchese Romualdo Chiaramonte stava nel suo studio.

Era avvolto in una vestaglia di velluto bordeaux sulla quale trionfavano pompose le sue iniziali, sovrastate da una imponente corona con cinque fioroni.