I Divoratori
Di Stefano Sgambati
Edizioni Mondadori
Quarta di copertina:
Una cena importante nel più lussuoso e alla moda locale milanese: il prestigioso “Palazzo Senso”,
ristorante gestito dal famosissimo chef Franco Ceravolo, all’interno dell’altrettanto esclusivo hotel
Principe di Savoia. La piovosa serata ha questa volta degli ospiti d’onore eccezionali, capaci di
focalizzare ed attrarre gli sguardi e le attenzioni di tutti nella sala. Si tratta del divo holliwoodiano
Daniel William King, l’uomo dalla bellezza assoluta, e della ugualmente famosa, impeccabile
moglie, l’attrice Sally Parson. Una coppia perfetta e distaccata a cui successo, onori e fortune
arridono copiosi La loro storia riempie i giornali di gossip di tutto il mondo e la sola loro presenza
sancisce il sicuro successo di un qualsiasi evento mondano.
Gli altri avventori, chi casualmente, come Saverio ed Elena o il noto professore Giordano e la sua
giovane ammiratrice Frida, chi intenzionalmente come la chiassosa, bizzarra famiglia del maitre,
avvertita dal figlio della presenza dei due attori quella sera, si troveranno a condividere l’esperienza
di comprimari, insieme alla staff del ristorante, in questo scenario apparentemente raffinato, che
però rivelerà i retroscena della presenza di tutti loro in quel luogo. Ma sarà proprio l’ospite
principale, il famoso ed acclamato attore di Holliwood a scompigliare la natura tranquilla e formale
del simposio, lasciando che l’irrazionalità prenda il sopravvento.
Recensione
In una circostanza conviviale, lussuosa e glamour di una rilassata, piovosa serata milanese, si
intrecciano storie di persone apparentemente normali che si ritrovano nello stesso contesto con due
star cinematografiche. Ognuno di loro con le proprie debolezze interiori, con i propri scheletri
nell’armadio e grandi o piccole frustrazioni. Stefano Sgambati ci fa entrare in una scena di formale
ordinarietà, dalla quale trae le tracce invisibili di una disfatta e decadenza profonde eppure normali,
banali quasi.
“Seduti in quel taxi Saverio ed Elena non parlavano.
Complici di omicidio, l’omicidio della loro parte migliore, la più promettente,
solo ogni tanto si arrischiavano a dire cose senza importanza, bighellonavano
attorno al cantiere del loro imbarazzo, ma quasi mai era un vero dialogo.
Non conoscersi era tutto, era ingombrante: non conoscersi era terribile.
Il sesso era stato uno sbaglio. Dopo, tutto si era fermato: come se una mano
avesse sfilato dai loro corpi gli scheletri e lasciato soltanto sacche vuote di carne:”
Un criterio di scrittura amaro e impietoso, capace nello stesso tempo di giocare con le parole e le
suggestioni, mentre analizza in una disamina profonda, intima le pulsioni sotterranee, le
motivazioni più nascoste dell’agire, sia dell’amina umana individuale, sia dei meccanismi
dell’esistenza in comune. Così che Saverio ed Elena, il professor Giordano e la sua giovanissimi
accompagnatrice Frida, il maȋtre Carlo, gli stessi autorevoli ospiti holliwoodiani ci svelano, in questo angolo sospeso tra formalismi e mediocrità, gli smarrimenti e le debolezze, le cattiverie ed i
tormenti, i vuoti che agitano le loro vite.
“Guardò il doppio fondo nei suoi stessi occhi allo specchio, occhi che ammiccavano
e si assottigliavano, e se un vago lampo di autodifesa si accese, questo stava
nell’impulso improvviso di accanirsi non più su se stesso ma su quel riflesso grottesco che aveva mandato a memoria e con lui il mondo intero.”
L’autore plasma i suoi personaggi, crea il loro spessore “immorale”, sotterraneo, nascosto che
culminerà con l’irrimediabile, con il plateale palesamento della verità o della pazzia individuale e
collettiva. La tematica è affascinante e disorientante al tempo stesso. Riporta ai concetti presenti
nella filmografia di Ingmar Bergman o a certe sottolineature sociologiche di Luis Bunuel. Incide la
pelle della nostra società, quella più in vista, la più invidiata, acclamata, per portarne alla luce
ancora una volta, le incongruenze di fondo, gli appetiti e le rovinose, autorevoli sconfitte quali
esseri umani.
Ma forse ancora la speranza aleggia sottile, quasi impercettibile: nella vita davvero normale, nei
difetti non celati, nella spontanea semplicità.
Cristina M. D. Belloni
Ringraziamo la casa editrice per la copia digitale