“I fratelli Karamazov” di Fëdor Dostoevskij (Einaudi)

“I fratelli Karamazov” è l’ultimo romanzo di Fëdor Dostoevskij. Fu pubblicato a puntate tra l’inizio del 1879 e la fine del 1880.

Di Dostoevskij abbiamo recensito anche “Memorie del sottosuolo”, “L’idiota” e “I demòni”.

Nell’ultimo paio di anni ho rimandato più volte la lettura de “I fratelli Karamazov”, poi ad aprile mi sono venute incontro due condivise in simultanea e ho ceduto definitivamente alla prospettiva di quaranta ore di ascolto su Audible. Entrambi i gruppi di lettura sono virtuali: uno è guidata dallo scrittore Demetrio Paolin e lascerà traccia su Letterazero.it, e uno viene svolto all’interno del Book Club Italia.

La versione che ho ascoltato su Audible è letta e tradotta da Silvia Cecchini dal testo inglese di Constance Garnett. Da gennaio 2022 è in circolazione la nuova traduzione di Claudia Zonghetti per Einaudi, in occasione dei 200 anni della nascita di Dostoevksij.

Cos’è “I fratelli Karamazov”

Tecnicamente, “I fratelli Karamazov” è un poliziesco. Sì, un po’ come un altro, imperfetto romanzone di nostra conoscenza: “Casa desolata” di Charles Dickens.

La trama è incentrata sui quattro fratelli Karamazov (chi più, chi meno legittimo) e il processo giudiziario che colpisce uno di loro per parricidio. Contiene tutte le “esse” di una prima pagina di giornali: sesso, soldi e sangue.

“Io affermo che niente deve essere distrutto, che abbiamo solo bisogno di distruggere l’idea di Dio nell’uomo (…) Appena tutti gli uomini avranno negato Dio (…) la vecchia concezione dell’universo cadrà da sola (…) e anche la vecchia morale, e tutto inizierà di nuovo”

Come dice il mio amico Vladimir Nabokov in “Lezioni di letteratura russa”, “I fratelli Karamazov” è un romanzo strano, a partire all’indice. Se, come me, infatti, avete fatto difficoltà a comprendere il nesso fra i titoli e il contenuto dei capitoli, tranquillizzatevi, il problema non siete voi, sono loro. Quasi fossero degli appunti spiritosi dell’autore, alcune sintesi scelte sembrano gettare una luce ironica sulla storia su temi principali molto ingombranti, come l’amore filiale, la giustizia (colpevole di un delitto è chi lo compie o anche chi lo desidera?) o, con le parole di Demetrio Paolin, “la possibilità del bene e la possibilità del male”.

È come se l’autore, aggiungo io, prendesse le distanze dal suo lavoro, avesse un bisogno tutto scorpionico di dissacrarlo e demolirlo. Negli ultimi dieci anni aveva perso due figli, una a tre mesi e uno a tre anni (tra l’altro, anche causa della stessa epilessia di cui soffriva lui): cos’altro potrebbe mai più apparire importante?

Punti di debolezza

Nell’anno in cui iniziò a scrivere “I fratelli Karamazov”, il 1879, a Dostoevskij fu diagnosticato l’enfisema polmonare che all’inizio del 1881 improvvisamente lo portò alla morte. Il progetto originario prevedeva ulteriori volumi, ma fu già abbastanza faticoso terminare questo, perché la salute peggiorava.

Allora provo a cambiare lo sguardo e scopro in questo romanzo una sorta di testamento spirituale, impregnato di moralismo e di riflessioni sulla religione, sulla politica e sul rapporto fra le due. L’autore, insomma, ha sparato tutte le sue cartucce, presentendo che sarebbero potute essere le ultime.

“Più detesto gli uomini individualmente, più ardente diviene il mio amore per l’umanità”

L’effetto su di me, però, è stato devastante. Ho ritrovato quei monologhi sterminati che al mio primo incontro con Dostoevskij, “Delitto e castigo”, da ragazza, mi ci fecero mettere una croce sopra.

Dov’è la trama?, mi sono chiesta di continuo. Dove sono le cose che accadono? Quand’è che l’azione va avanti? Quali sono i personaggi che mi “servono” veramente?

Lunghe (lunghissime) regressioni su eventi o personaggi collaterali non mi hanno aiutata ad affezionarmi al romanzo.

Finalmente sono arrivati alcuni sketch che mi hanno ricordato il disincanto e la comicità (ebbene sì) de “L’idiota”, mi hanno risvegliata e incoraggiata a continuare. Uno di questi riguarda un equivoco su una richiesta di denaro.

Penso che, anche se privato di almeno un terzo, “I fratelli Karamazov” sarebbe stato un romanzo ugualmente completo.

Però, però, però…

Chi non è interessato alle considerazioni teologiche delle prime quattrocento pagine (più o meno), potrebbe però trovare nuovi spunti di riflessione quando finalmente ci si avvicina al nucleo narrativo: il delitto e la ricerca del colpevole.

“(…) perché se non c’è nessun dio immortale, non esiste una cosa come la virtù e non ce n’è bisogno”

Confesso di aver dubitato delle mie capacità di attenzione e di essermi chiesta se il lettore fosse stato messo o no a parte della soluzione. Cosa si aspettava l’autore, che brancolassi anch’io nel buio insieme alla polizia o mi aveva già confidato la verità? Davvero, l’inizio del romanzo è stato per me talmente oscuro, intricato e complesso che ero totalmente disorientata.

Poi le riflessioni hanno cominciato a restringersi sui legami famigliari e di sangue, su come vogliamo vedere le cose e sul gioco psicologico con cui possiamo interpretare la stessa vicenda in due maniere opposte, così ho ritrovato un po’ di interesse.

“(…) Cos’è l’inferno? Io affermo che è la sofferenza di non essere capaci di amare”

Spicca fra tutti, nella parte finale, il rapporto fra padre e figlio. Le considerazioni, qui, si fanno moderne, pionieristiche. Genitore è chi ti dà la vita o chi se ne prende cura? Chi ti genera merita a prescindere che tu lo ami oppure no? Riflessioni estremamente interessanti, se consideriamo che lo scrivente era orfano di padre dai suoi 17 anni.

“Chi non desidera la morte di suo padre?”

Mi ha stupito la sensibilità di Dostoevskij verso i bambini. La crudezza della loro innocenza abusata permea tutto il libro. Più volte vengono denunciate, in maniera accorata, le torture o le ingiustizie a danni dei piccoli.

“Se tutto questo deve essere sofferto come prezzo dell’armonia eterna, cosa hanno a che fare i bambini con tutto questo, dimmi, ti prego?”

Il mio consiglio è di avvicinarsi a “I fratelli Karamazov” con la consapevolezza che la trama vera e propria comincia in un montaliano “più in là”. A tutti quelli che, pur avendolo letto, “non l’hanno capito”, suggerisco anche di godersi le sette pagine in “Lezioni di letteratura russa” (Adelphi 2021) in cui Nabokov è riuscito non solo a spiegare tutto il libro ma a svelarne anche gli snodi più essenziali.

Cristina Mosca