I leoni di Sicilia – di Stefania Auci (Nord)

i leoni di sicilia copertina
“I leoni di Sicilia”,
di Stefania Auci,
Nord edizioni 2019

Partiamo da questo presupposto: mi piacciono le saghe famigliari. Mi piacciono talmente tanto che ne leggo poche, perché so già che mi affezionerò ai personaggi e questi, inevitabilmente, moriranno. Perciò, come con i pesci rossi, non ne compro.

Ho preso “I leoni di Sicilia” di Stefania Auci, pubblicato da Nord Edizioni e caso editorale del 2019, perché è stato scelto per una lettura condivisa incrociata per il mese di gennaio 2020 dai GdL di Pescara EquiLibro e di Tagliacozzo (Aq) L’InCHIOSTRO.

Il libro racconta della grande famiglia di industriali Florio, da quando si mossero da un paesino della Calabria per fare gli aromatari a Palermo, all’alba del 1800, a quando avviarono un vero e proprio impero commerciale che prospera tuttora. Conosciamo Paolo e Vincenzo Florio, ne conosciamo gli eredi Vincenzo e suo figlio Ignazio, ne viviamo gli amori e le sfide imprenditoriali. Il tutto in un’Italia in subbuglio, in preda ai grandi mutamenti della Storia. Questo primo libro della saga finisce nel 1868, cioè al termine della prima generazione siciliana e all’indomani dell’Unità di Italia; il secondo libro pare sia in preparazione e promesso per il 2020.

È stata una lettura scorrevole. Delle 430 pagine che mi aspettavano e che un po’ mi intimorivano mi trovavo a leggerne anche 60, 70 ogni giorno quasi senza rendermene conto, grazie anche alla complicità delle vacanze natalizie. Mentre procedevo pensavo: wow, di questo passo lo finirò in quattro giorni. Invece Goodreads mi ha fatto notare che di giorni ne sono passati dieci e io non me ne sono praticamente accorta.

Punti di forza.

È evidente l’accuratezza con cui è stato compiuto il lavoro di ricerca necessario per restituire l’Italia di duecento anni fa. Il risultato è un esempio di eleganza e discrezione che si può solo seguire ed eventualmente perfezionare. La piccola premessa storica all’inizio di ogni capitolo aiuta a orientarsi nella lettura e nella comprensione di alcune dinamiche, sotto la benedizione di un elemento per volta, che ci dà la consistenza del percorso dei Florio. Dalle spezie della prima aromateria arriviamo alla sabbia che alimenta il Marsala, passando per la seta, il cortice, lo zolfo, il pizzo e il tonno. È un viaggio molto piacevole, anche quando indugia un po’ più del necessario su sentimenti e relazioni.

“Ignazio ignora com’era suo padre prima di lui. Ciò che è un uomo prima di avere un figlio è spesso un mistero che un padre decide di custodire nel profondo e di non rivelare mai, a nessuno. Tra il prima e il dopo c’è un limite, netto e invalicabile. Ignazio non può sapere quanto un figlio cambi un uomo”

Toccante è la figura di Giuseppina, soprattutto se la guardiamo come farebbe Elsa Morante. Giuseppina non può fare altro che subire la scelta di un marito che forse non ama abbastanza e seguirlo in terra straniera, per poi trovarsi sola nel giro di pochi anni con un figlio da accudire, Vincenzo, e un cognato probabilmente innamorato. Giuseppina non dimentica mai la sua Bagnara Calabra e si trova bloccata nelle scelte di altri come un cubo di tufo ai piedi di una colonna di marmo. Eppure trova la sua sopravvivenza nella trasmutazione: i rimpianti e la rabbia la trasformano in pietra e Giuseppina resiste, a fare da base della colonna. Resta a Palermo, lascia che suo figlio cresca lì e influisce sulla sua vita e sul suo carattere, già per natura volitivo, ambizioso e accentratore. Giuseppina è una donna ferita dalla Storia e che, allo stesso tempo, la Storia la fa: è grazie a lei che la dinastia dei Florio in Sicilia può iniziare.

Però, però, però…

Grazie alle attente descrizioni dell’autrice e anche grazie a piccole ricerche su Wikipedia, durante la lettura ho potuto visualizzare molte scene e molti ambienti. Ho solo sentito una mancanza: la possibilità di visualizzare i personaggi. Delineati molto bene dal punto di vista psicologico, fisico e di carattere, non li ho trovati disegnati con altrettanta luminosità negli abiti e nelle abitudini. Nella mia testa si muovevano una volta come in “C’era una volta in America” e un’altra come in una puntata di “Elisa di Rivombrosa”. Non sapevo dove fissare la mia immaginazione, forse anche per questo tornavo a cercare foto o ritratti dell’epoca.

Su internet però è quasi impossibile trovare documenti che risalgano così indietro in una ricerca superficiale, perciò confermo la mia stima per l’accuratezza dell’esplorazione dell’autrice.

La fine mi ha commossa, mio malgrado. Per quanto si possa leggere velocemente questo romanzo si ha tutto il tempo necessario per affezionarsi ai personaggi e si arriva a capire e ad apprezzare perfino i più burberi. Perciò lo sforzo di Stefania Auci di rendere giustizia alle scelte e ai dolori di questi grandi patriarchi può dirsi felicemente riuscito.

Cristina Mosca