“Il bambino di pietra” – Laudomia Bonanni (Cliquot)

“Il bambino di pietra” di Laudomia Bonanni, Cliquot 2021

Nel 1979 Laudomia Bonanni conquistava il terzo posto del Premio Strega (quell’anno vinse Primo Levi) con “Il bambino di pietra”, allora edito da Bompiani, oggi in circolazione grazie a Cliquot (2021).

Il libro è, al momento, scelto da due gruppi di lettura della provincia di Pescara (legati alla Libreria On the road e alla Libreria Primo Moroni) anche in preparazione del convegno che si terrà l’11 settembre a L’Aquila.

“Il bambino di pietra” è un esempio meraviglioso di flusso di coscienza, che sembra imparare dalle associazioni mentali dell’Ulisse di Joyce e il percorso terapeutico di Zeno Cosini per generare qualcosa di nuovo e del tutto personale.

La storia ha echi sveviani perché il terapeuta dell’io narrante Cassandra le suggerisce di comprendere la sua nevrosi scrivendo. Lei allora inizia a tenere un diario in cui ripercorre, seguendo il flusso di pensieri, le figure importanti della sua vita – prettamente femminili -. Riflette su come la mancata educazione sessuale tipica del primo Novecento abbia influito sul suo rapporto con le altre donne e con l’altro sesso. Tutto il pudore e il non detto in cui è cresciuta sembra avere creato un blocco al suo desiderio di femminilità e di maternità.

Punti di forza

La scrittura della Bonanni riesce a essere sincopata e colta senza creare distanze. Un momento prima si appropria del gergo famigliare come la Ginzburg e subito dopo incanta con un assioma sui rapporti umani, dal ritmo perfetto.

“L’amore non ha quasi a che fare col corpo. E mai si è in due, non almeno nella stessa misura, in amore non si è mai pari”

Grazie questo libro ho scoperto che dentro una donna può fossilizzarsi un litopedio, un feto sviluppatosi e morto in via extrauterina che può mummificarsi e a volte restare ignoto per decenni. L’autrice lo trova altamente simbolico: che sia accaduto lo stesso anche al suo desiderio di maternità? Che si sia fossilizzato?

Però, però, però…

Il sottotitolo può sviare: “storia di una nevrosi femminile” pone secondo me un limite a tutte le chiavi di lettura di questo libro. Temevo infatti una storia lamentevole, invece ho trovato un romanzo di formazione e di riscatto.

“La natura t’inchioda alla maternità, che tu l’accetti o la respinga. (…) Non si resiste impunemente alla natura, non si ama impunemente, non si ha impunemente un figlio: alla donna non è concessa l’impunità”

Non ho trovato ne “Il bambino di pietra” nulla di autocompassionevole o patetico. Al contrario ci ho visto un messaggio positivo: anche quando tutto ci sembra senza senso bisogna solo aprirsi a quella “feroce volontà di vivere” che bussi alla nostra porta.

Cristina Mosca