Dunque, le cose vanno così. Uno vede che un libro costa solo sei euro e inizia a prenderlo in considerazione. Poi guarda il titolo, “Il bene vegetale”, e ha un dubbio: un saggio sulla botanica? La lunghezza è di sole 40 pagine, così quest’uno dice ma come, così corto. Allora no. Poi si accorge che sono poesie e va in tilt: ah, allora sì, può darsi, me lo fate sfogliare? Così, per decidere.
Allora apre il libro, salta la prefazione perché le prefazioni si leggono sempre alla fine, e inizia a leggere i primi versi. Succede che non si dispiegano panorami di betulle o di piante rampicanti; non ci sono odi alla ginestra o alla bocca di leone; non ci sono spine di cardo o mazzi di papaveri.
“Quando le parole troveranno l’ordine giusto
nel discorso e si comporranno come un libro,
tu diventerai un campo nero di grano
tra le colline e i boschi vicino a casa.”
Alla seconda pagina il lettore fa la prima piegatura, poi segue la seconda, poi una terza e anche due in una stessa pagina. “Il bene vegetale” di Demetrio Paolin (Blonk 2022) è un sottile omaggio di poesia alla natura più profonda di noi stessi, a quel qualcosa che ci lega profondamente gli uni agli altri e, insieme, a tutto il resto.
Di Demetrio Paolin abbiamo già recensito “Lo stato dell’arte” e “Conforme alla gloria”.
Cos’è “Il bene vegetale”
Ventisette poesie compongono questa raccolta esile al tatto ma forte come un baobab. Al centro dei temi: la fede, il senso religioso, la morte, l’appartenenza.
“(…) Di questa strana
rovina che sono
ciò che conta è l’averti”
I versi di Demetrio Paolin sono corse verso il significato, che hanno poca voglia di giocare con le rime e il ritmo ma che hanno urgenza di dire. Non sono esercizi di stile ma di messaggio. Dalle sue riflessioni, intime, sul rapporto fra la carne e lo spirito, fra la pelle e la felicità, scaturisce il dubbio che forse sia ora di ripristinare una visione panica del mondo.
Punti di forza
Demetrio Paolin in versione poeta è un’eco biblico di moniti e promesse. Il “tu” costante a cui si indirizza l’io lirico imbastisce un dialogo di cui spesso ci sentiamo spettatori piuttosto che destinatari. Spesso ci troviamo accanto al poeta e guardiamo nella stessa direzione. E ci sentiamo dei privilegiati.
“Necessario è il tremendo
concedersi al tempo della nostra
vita, il perdersi dentro le ore, tremendo
e necessario è il vivere distratti
la distanza di noi come un patto
sigillato nella cera rossa dell’autunno”
L’amore de “Il bene vegetale” ha molti graffi e non ha altri suoni se non i bisbigli o, meglio, il silenzio del cielo sereno. Vi avviso, questo libricino è un “falso magro” che può durare settimane, perché ha bisogno di venire letto una pagina alla volta. Io l’ho tenuto sul comodino per un mese e per il momento lo rimetterò lì ancora per un po’.
Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea ricevuta in omaggio. Ne leggiamo un estratto qui:
Cristina Mosca