“Il Cartomante” di Irma Cantoni (LibroMania)

"Il Cartomante" di Irma Cantoni (LibroMania)
“Il Cartomante” di Irma Cantoni (LibroMania)
Sinossi:  È la notte di Ferragosto e sulle colline che circondano Sant’Eufemia, a est di Brescia, sono iniziati i preparativi per la festa della Luna. Sotto gli scoppi dei fuochi che brillano nel cielo, il cartomante Eugenio Bilotti, rimasto solo, si dedica a uno dei suoi rituali di magia nera per conto di un cliente, ma qualcosa va storto. La mattina seguente, il corpo del famigerato cartomante viene ritrovato senza vita dentro l'abitazione chiusa dall'interno. A dare l’allarme Gemma, la donna che tutti conoscono come sua sorella. Delle indagini viene incaricata la nuova commissario capo Vittoria Troisi, appena arrivata a Brescia da Roma. Affiancata dal giovane agente del posto Mirko Rota, il commissario inizia a scavare negli aspetti più oscuri della vita di Eugenio Bilotti e nei sordidi segreti dei suoi clienti, finendo per trovarsi faccia a faccia con i fantasmi del proprio passato in un’indagine avvincente che porta i protagonisti a esplorare gli abissi più profondi del male. 

Irma Cantoni, vincitrice della prima edizione del concorso letterario “Fai Viaggiare la Tua Storia”, pubblica con LibroMania il suo terzo romanzo dopo “Il Bosco di Mila” e “Il Segreto di Palazzo Moresco”.

A condurre le indagini è il commissario Vittoria Troisi, che ha una dote particolare a renderla originale fra i protagonisti del panorama letterario italiano: è in grado di parlare ai morti.

L’autrice ha una capacità incredibile nel presentare i personaggi, riesce a trasmetterne l’interiorità profonda descrivendoli con pennellate decise e puntuali. Ogni parola è scelta accuratamente, la struttura si costruisce un blocco dopo l’altro con cura e consapevolezza. Uno stile definito e una voce personale che emerge sin dalle prime pagine.

La storia, infatti, è resa ancor più interessante dallo stile crudo e profondo di una scrittura sapiente.

I luoghi del bresciano in cui è ambientato il romanzo, che sono cari all’autrice, trasmettono atmosfere cupe e mistiche insieme, che conferiscono grande suspence alle pagine.

Il romanzo è in realtà un prequel dei due precedenti. Si tratta infatti della prima indagine del commissario Vittoria Troisi, romana distaccata a Brescia, che è protagonista anche ne “Il Bosco di Mila” e “Il Segreto di Palazzo Moresco” . Sicura e algida, si intuisce che ha un vissuto complicato alle sue spalle sebbene sembra non volere che traspaia. Ha un animo controverso, tormentato, c’è qualcosa del suo passato che vorrebbe dimenticare e non si arrende, non si ferma, va sempre fino in fondo alla questione.

I luoghi sono importanti nel romanzo, sono i vicoli e i palazzi di Brescia, città che non conosco ma che ho potuto perfettamente immaginar grazie alle descrizioni dell’autrice. Ma sono anche affresco e rappresentazione della nostra società.

L’uomo che è stato ucciso è un personaggio controverso: cartomante, pratica la magia nera, è burbero e scontroso, misogino, rappresentazione di vizi umani universali ben riconoscibili. Ha ifetti complicati, è avido, odiato da molti, tanti i sospettati che avrebbero avuto buone ragioni per volerlo morto. Ma proprio nelle prime pagine, che raccontano il suo decesso, è umanizzato e nella sua fine si cristallizza l’esistenza che ha condotto:

Fu nella notte di Ferragosto 2010, tra i lampi improvvisi dei fuochi d’artificio, che il cartomante venne ucciso. Eugenio Bilotti, questo il nome all’anagrafe. Classe 1955, località Sant’Eufemia. Lì era nato, lì era morto, nella frazione ai bordi di Brescia Est, dove la città non era più città da oltre un secolo e mezzo, da quando gli insorti avevano lottato sulle barricate per dieci interminabili giorni mentre le bombe austriache piovevano dalle mura del Castello. Si diceva fossero stati gli abitanti di quello slargo collinoso alle porte di Brescia a lasciar entrare il nemico in cambio della propria vita, e da allora la città li aveva confinati in un limbo geografico. Anche il cartomante di Sant’Eufemia aveva vissuto nella vaghezza, né di qua né di là, e la sua cecità, più o meno totale, aveva contribuito a conferirgli il distintivo di veggente e mala persona: uno a cui ci si poteva rivolgere per conoscere il proprio destino ma che era consigliabile, nella vita di tutti i giorni, evitare con cura. «Meglio stare alla larga, che magari porta pure sfortuna se lo vedi» diceva il postino che ogni giorno passava dalla sua cascina con quasi niente da consegnare.
Il corpo di Eugenio Bilotti era riverso in un angolo del cortile. Un braccio tra le fioriere di legno smunte dal tempo, collo e testa pestati a sangue. Doveva aver ricevuto il primo colpo senza neanche accorgersene. Non avrebbero trovato un’orma intorno, un brivido di Dna, né gocce di saliva o tracce di sangue altrui sulla barba mezza bianca e mezza rossa, niente. La faccia era schiacciata contro il cemento dell’aia della cascina, e la bocca rimasta sghemba come in uno sbadiglio a metà, a gridare senza suono contro chi lo aveva colpito: «Chi sei?».
Morì lentamente.
I sensi lo abbandonarono, l’uno dopo l’altro, in una sequenza inarrestabile. Proiettato senza possibilità di controllo nel passaggio della morte, si sentì sprofondare sotto terra, schiacciato dal peso di una montagna di ferro. I pochi bagliori, che da vivo erano rimasti nei suoi occhi, si sfocarono sempre più tra le ombre dell’aia illuminata dalla luna. Quando il corpo si prosciugò dei liquidi, vide dentro di sé il luccichio del blu trasformarsi in fumo, a sbuffi, e si sentì annegare in un fiume turbolento.
Poi l’abbandonò l’udito.