Il colibrì – di Sandro Veronesi (La nave di Teseo)

copertina il colibrì

“Il colibrì”,
di Sandro Veronesi,
La nave di Teseo 2019,
Romanzo

Ho un colibrì tatuato su un polpaccio. L’ho scelto come simbolo di bellezza, fragilità e irruenza. Pare che il cuore del colibrì batta così veloce, che se si riuscisse a bloccargli le ali scoppierebbe.

“Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. (…) Ed ecco perché starti vicino è così bello.

(…) E però, soprattutto, questo stare sempre fermi, facendo tutta quella fatica, a volte non è la cura, è la ferita. Ed ecco perché starti vicino è impossibile.”

Ho conosciuto Sandro Veronesi alla presentazione di novembre al FLA – Festival di Libri e Altre Cose di Pescara e, contrariamente alle mie abitudini, mi è capitato di leggere il suo “Il colibrì” quasi subito perché il gruppo di lettura “Sulla traccia di Angela”, nato in seno alla biblioteca “Di Giampaolo” di Pescara, lo ha scelto come libro da condividere a gennaio.

È andata a finire che a pagina 41 ero già devastata.

Punti di forza.

“Il colibrì” è in sostanza la storia che gira intorno a Marco Carrera, un uomo che da bambino è stato soprannominato da sua madre come questo minuscolo uccello per via della sua piccola statura. È, in fondo, la sua biografia, che parte dal legame tra i suoi genitori, per passare a piccole soddisfazioni e grandi dolori privati che hanno attraversato la sua vita. I suoi sono dolori grandissimi, che verrebbe da dire che giusto in un libro li si potrebbe trovare tutti insieme. E invece no, è tutto terribilmente verosimile e messo a nudo. Per ogni categoria di dolore hai in mente una persona a cui queste cose sono accadute veramente.

È la prima volta che leggo Sandro Veronesi e mi ha spiazzato con la sua lucidità nel raccontare le dinamiche relazionali. L’ho trovato spietato e vero.

sandro veronesi alessio romano
Da sinistra: l’autore Sandro Verones, presentato dallo scrittore Alessio Romano al FLA 2019. (photo credits: FLA)

Ha inoltre avuto l’intuizione efficace, come ha anche raccontato al FLA, di aiutare il lettore a gestire questo tsunami di dolore grazie ad alcune tecniche narrative. Per esempio, il romanzo non ha un ordine cronologico lineare: ad alcuni eventi si viene preparati prima, di altri veniamo a sapere tramite i vivi dialoghi, al telefono o per messaggio, altri ancora ci vengono annunciati anche da una sola parola. L’effetto di questa strategia è doppio: da una parte si prosegue affamati nella lettura perché se ne vuole sapere di più, dall’altra si affronta quello che arriverà con un grado di paura sopportabile.

“Lei gli aveva sempre mentito, è vero, e questo è male, malissimo, perché la menzogna è un cancro e si propaga, e si radica, e si confonde con la sostanza stessa che corrompe – ma lui aveva fatto di peggio: lui le aveva creduto”

Il romanzo procede come un cuore. A volte stringe e a volte rilascia. Si contrae su un evento e ti distrae, subito dopo, con un’epistola o una narrazione un po’ più ariosa. Ti chiude in una tragedia e ti propone, subito dopo, un elenco catastale. C’è stato un momento, alla fine del capitolo “Shakul & Co”, in cui l’ho dovuto chiudere perché era troppo, troppo. Scritto in uno stile che mi ha ricordato il mio amato Saramago, cioè tutto d’un fiato, questo brano parla di un momento in cui il protagonista riceve una notizia particolarmente terribile. Nel farlo, l’autore pronuncia delle verità indicibili riuscendo ad avvalersi di una scrittura che non scade nel patetico e allo stesso tempo ti fa precipitare in un gorgo senza soluzione.

Però, però, però…

Non era facile concludere un libro così. Non era facile trovare un senso a tutto questo dolore. Ho parlato de “Il colibrì” con diverse persone e almeno tre uomini hanno osservato di non essersi riusciti a identificare nel protagonista; al contrario, un quarto uomo per tre giorni ha continuato a pensare a questo libro senza riuscire a passare a una nuova lettura. Il gruppo di lettura si è frastagliato tra chi ha poco sopportato la struttura a puzzle del romanzo, chi in un primo momento ha lasciato il libro a metà per poi restare soddisfatti per il finale, chi il libro lo ha vissuto fino in fondo …tranne che per il finale. Un’eterogeneità di opinioni che mostra che questo romanzo è tanta roba.

Sicuramente un autore sente un grande incarico: consegnare qualcosa di simile a un messaggio, depositare un significato nelle mani del lettore. Un romanzo è un oggetto che ti sopravvive e che deve parlare di te. È stato onesto e responsabile, a mio parere, cercare di concludere con un lumicino di speranza un percorso affannoso come quello di Marco Carrera. A costo di rischiare un finale sgonfio.

Quello che resta è, nel mio caso, un romanzo pieno di piegature, che mi ha parlato anche di me, che riprenderò e ricorderò anche per cercare di dare un nome e un perché alle cose.

Booklist

I libri citati in questo libro sono tanti. Mi soffermo sulla collezione Urania perché è appartenuta al padre di Marco Carrera e viene scandagliata in un resoconto che il protagonista fa a suo fratello. In questa e-mail viene ricostruito perché manchino solo sei fascicoli ai quasi 900 raccolti sistematicamente dal 1952 al 1981. Ho trovato il capitolo interessante perché assomiglia a una caccia al tesoro simbolo di chi resta: non si può fare altro che cercare di ricostruire le scelte di chi se ne va, seguendone le tracce.

Cristina Mosca