“Il mago di Oz” di L. Frank Baum (Einaudi)

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“Il mago di Oz” di Lyman Frank Baum (1900)

“Il mago di Oz” (“The wonderful wizard of Oz”) è il romanzo con cui Lyman Frank Baum affascinò nel 1900 un mercato editoriale già conquistato da eroine come le “Piccole donne” (1868) di Louisa May Alcott o “Alice nel paese delle meraviglie” (1865). Negli anni successivi fu seguito da altri tredici romanzi ambientati nel Paese di Oz. Eppure – iniziamo subito con le curiosità – fu censurato e proibito in molte biblioteche e scuole degli Stati Uniti agli inizi degli anni Trenta e di nuovo negli anni Cinquanta proprio a causa dell’indipendenza della sua protagonista femminile o ai personaggi troppo fantasiosi. Vediamo perché!

Cos’è “Il mago di Oz”

La trama è ben nota, soprattutto dopo la versione cinematografica del 1939 con Judy Garland del futuro regista di “Via col vento” Victor Fleming e dopo gli innumerevoli adattamenti sugli schermi. Dorothy viene sbalzata via dal grigio Kansas a seguito di un ciclone e passa il resto del romanzo a voler tornare a casa. La politica capitalista do ut des del Mago di Oz nella Città di Smeraldo (“Non concedo mai favori senza chiedere qualcosa in cambio”) costringe lei e i suoi amici a superare un obiettivo per avere aiuto.

Anche gli amici sono ben noti: lo Spaventapasseri, il Taglialegna di latta e il Leone Codardo. Fanno squadra e si aiutano a vicenda. Nonostante tre di loro ottengano la felicità, non esitano a ripartire verso Sud per aiutare il quarto e trovano così il loro posto nel mondo.

Nelle loro avventure incontrano scimmie alate, streghe e magie che furono considerate troppo fantasiose da alcuni Stati americani.

Punti di forza

Ho capito solo in tarda età di adorare “Il mago di Oz”. Quello che mi coinvolge di più è la sua metafora profonda del desiderio di completezza. Riteniamo sempre che quello che manca sia al di fuori di noi, mentre già lo abbiamo. Lo Spaventapasseri trova molte soluzioni ai loro problemi, il Taglialegna si preoccupa di non lasciare nessuno indietro, il Leone mette i nemici in fuga, eppure sono convinti che manchi loro, rispettivamente, un cervello, un cuore e il coraggio. E Dorothy ha sempre avuto ai suoi piedi il modo per tornare a casa.

“(…) penso che tu abbia torto nel volere un cuore. Rende infelice la maggior parte delle persone. Se lo sapessi, ti convinceresti di essere fortunato a non averlo”

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Nella prefazione all’edizione Einaudi 2012, Carlo Pagetti riporta gli Stati a cui potrebbe essersi ispirato Baum con le quattro aree della Terra di Oz: New York (Est), South Dakota (Ovest), Michigan (Nord) e Illinois, Indiana e Missouri (Sud). A New York abbiamo le zone agricole: quando Dorothy uccide per sbaglio la perfida strega dell’Est atterra tra i Ghiottoni, che sono un popolo prevalentemente contadino. Il South Dakota era ancora selvaggio: nel regno dell’Ovest il paesaggio è brullo e risiede la perfida strega dell’Ovest. Il Michigan era povero e rurale. Nelle aree del Sud, dove nel romanzo c’è il fragile Paese di porcellana, Baum aveva venduto, appunto, porcellane.

Al centro troviamo Chicago e questa potrebbe essere l’ispiratrice della Città di Smeraldo. Nella decade che precede la pubblicazione de “Il mago di Oz”, infatti, Chicago era stata scelta per ospitare la World Columbian Exposition, un’esposizione temporanea di architettura celebrante l’anniversario della scoperta dell’America, e una sua area fu soprannominata “La città bianca”.

Lo stesso disegnatore della prima edizione “Il mago di Oz” William Wallace Denslow sembra ispirarsi all’architettura di Chicago per rappresentare la Città di Smeraldo.

“Penso che tu sia un uomo davvero spregevole”, commentò Dorothy.

“Oh, no, mia cara! In realtà sono molto buono, ma devo ammettere di essere un pessimo Mago”.

La chicca

La parte che preferisco del romanzo non è mostrata nel film ma mi fu rivelata da una versione in cartoni animati giapponesi del 1986, ispirata ai primi tre libri dedicati al regno di Oz. Ora ve la spiego.

Nella versione originale della storia, la Città di Smeraldo è un’illusione. Ai suoi abitanti e ai suoi ospiti viene chiesto di indossare degli occhiali sostenendo che difendano gli occhi da tanta luminosità. Invece, semplicemente, le lenti sono verdi.

La trovo una metafora efficacissima, applicabile alla vita di tutti i giorni.

La lettura è scorrevole e i capitoli sono brevi, adatti alla capacità di attenzione dei bambini dai sette anni in su.

Cristina Mosca