“Il nome della madre” di Roberto Camurri (NNE)

Il nome della madre di Roberto Camurri edito da NNE editore è un romanzo delicatissimo è molto profondo.

Racconta della sparizione di una madre, la grande assente del romanzo. E di Ettore, il marito, che si ritrova a crescere da solo il figlio Pietro e a cercare di sopperire a questa mancanza che si fa ogni giorno più insostenibile.

Anche se il tempo passa, è difficile dimenticare la donna che amava e che è la madre di suo figlio.

Questo sconforto costringe a una sorta di analisi degli errori del non detto, di ciò che potrebbe essere accaduto e di cui non si era accorto.

In ogni gesto, in ogni sguardo la ritrova, la cerca sempre sperando di rivederla, che giunga la tanto attesa motivazione prima o poi o che, possibilmente, sia lei stessa a darla.

Questo provoca un trauma in Pietro, che si ripercuote nei rapporti con le donne che incontrerà da adulto. Bisogna riuscire ad analizzare le proprie emozioni e affrontare i propri vuoti, sopportare il fatto che la propria madre lo abbia abbandonato e che invece le donne che lui sceglie non lo faranno.

Abbiamo già recensito Roberto Camurri nel suo “A misura d’uomo” e ritroviamo anche in questo romanzo molto intimistico, la stessa ambientazione, Fabbrico il paese ancorato alla Pianura Padana con i personaggi che che lo abitano ed è un luogo che ne conosciamo attraverso le sue strade e attraverso i colori e profumi tipici che abbiamo imparato a conoscere.

Camurri ha la capacità di posare lo sguardo sui dettagli e farne emergere sentimenti sopiti o dimenticati: ogni oggetto rappresenta la memoria e diventa pretesto per far emergere un’emozione (come rami di un albero ai bordi del marciapiede, un mozzicone che cade o il fumo che copre lampadari polverosi).

“Il nome della madre” è un romanzo sull’abbandono ma sulla anche sulla famiglia, sulla fragilità e sui sentimenti che è difficile dire è che a volte emergono proprio nei silenzi di chi si ama.

Estratto:

Tornerà a casa per pranzo in un giorno di luglio, farà caldo, l’orizzonte trasformato in una linea liquida sotto un cielo sfocato.

Aprirà la porta e si ritroverà sua moglie davanti, bloccata nel corridoio come vittima di un incantesimo, le mani che si stringeranno pallide, il sangue confluito tutto nel viso, gli occhi spalancati.

Sarà scalza e sotto di lei, fra i suoi piedi, si allargherà una pozzanghera che bagnerà il pavimento; lui resterà immobile per qualche attimo, il tempo congelato.

Andrà tutto bene, dirà, e si stupirà di quanto calma suonerà la sua voce, di quanto si sentirà in preda al panico.

Tutto passerà attraverso le loro mani, attraverso il sole e il calore che entrerà dalla porta rimasta aperta, attraverso quella casa, quel cortile, le loro vite fino a lì.

Passeranno i loro ricordi, i pranzi e le cene senza parlarsi, il loro fare l’amore svogliato, i baci che non si saranno dati e quelli dati per paura.

Il motore della R4 romberà davanti agli aironi che si alzeranno in volo, davanti a lei che respirerà e si aggrapperà con le mani alla maniglia, davanti a lui che continuerà a ridere e si ripeterà di smettere, in mezzo a quella strada deserta, a quella pianura immensa, a quei colori resi vivaci dal sole estivo che accecherà l’azzurro del cielo sopra le loro teste, sopra Fabbrico.