“Il paradiso delle signore” – Émile Zola

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“Il paradiso delle signore” di Emile Zola, Mondadori 1951

Quando, due anni fa, ho raccontato “L’ammazzatoio” ho esordito chiedendo(mi): perché uno non passa tutta la vita a leggere Émile Zola?

Adesso che grazie alla #sfidadeiclassici2021 di Adele ho potuto rimettere questo autore in TBR, mi sono accodata alla lettura microcondivisa de “Il paradiso delle signore” e ho trovato la risposta alla mia domanda.

Questo romanzo mi ha coinvolta tantissimo. Per cinque giorni ho dedicato ogni minuto libero alla storia di Denise e alla sua “caparbia dolcezza”, mi sono persa nell’opulenza del racconto e nella miseria del quartiere che viene mangiato dal Grande Magazzino “Il paradiso delle signore”, ho provato comprensione verso la crescita spirituale dell’imprenditore Mouret, e quindi insomma adesso lo so: uno non passa la vita a leggere Zola perché non va bene che uno non vorrebbe nemmeno andare a lavorare, pur di leggere Zola.

La storia

“Il paradiso delle signore” è stato scritto nel 1882. È l’undicesimo libro pubblicato dallo scrittore naturalista francese, ma l’ottavo nell’ordine di lettura consigliato da lui stesso per godere appieno del ciclo dei Rougon-Macquart (1871-1893).

Ha ispirato alcuni adattamenti cinematografici, ma il più moderno è indubbiamente la serie Rai (cinque stagioni, 150 episodi) “Il paradiso delle signore”, che ne condivide l’ambientazione. “Il paradiso delle signore” di Zola si svolge in uno dei primi grandi magazzini di Parigi alla fine dell’Ottocento, mentre la serie tv parla del primo grande magazzino in Italia, aperto settant’anni dopo.

“Quando lei se ne andò, lui continuava a passeggiare e passeggiare, con quel moto ostinato delle grandi disperazioni, che si raggirano su se stesse senza mai uscire dal cerchio atroce”

Al centro della storia di Zola c’è Denise Baudu, che con le sue virtù scala i vertici di questo Grande Magazzino dal marketing avveniristico. È una donna virtuosa e sveglia, zelante e responsabile, con a carico due fratellini che vengono anche usati contro di lei (la accusano di avere un amante e un figlio). All’inizio il suo percorso è tormentato: in un ambiente famelico e competitivo, l’ultima arrivata subisce soprusi e calunnie e viene anche licenziata per dubbia moralità.

Intorno all’abbacinante modernità di questa “città del lavoro” si muove una Parigi di piccoli lavoratori schiacciati dalle trovate pubblicitarie, dai prezzi concorrenziali, dalla “macchina indifferente” del progresso.

La traduzione

Nella biblioteca del mio Comune ho trovato un’elegante edizione Mondadori del 1951 un po’ ingiallita, che mi ha aiutato molto a immedesimarmi nella lontananza temporale di questo romanzo, scritto quasi 150 anni fa). Inoltre, la traduzione usata è del 1936, curata dal primo traduttore italiano di questo romanzo, Guido Mazzoni.

Nella nota “Come fu tradotto in Italiano “Il paradiso delle signore””, che apre l’edizione del 1951, Mazzoni spiega come abbia tradotto questo libro, uscito in Italia in contemporanea all’edizione francese “in quotidiana appendice”. Era stato il deputato Ferdinando Martini, che si era incaricato di tradurre il romanzo per il “Popolo romano”, a passargli l’incombenza tra il 1882 e il 1883: una corsa contro il tempo, a cui il 23enne Mazzoni aveva dovuto affiancare l’impegno per la sua cattedra di Lettere italiane a Lodi nuova di zecca.

Ma vogliamo mettere il privilegio di usare le bozze di stampa con le correzioni autografe dello stesso Zola? Nella nota riconosce questo lavoro come una traduzione in più punti frettolosa, di cui lui non ebbe nemmeno modo di verificare la versione finale rivista (e firmata) dal Martini. Quarant’anni dopo è arrivata la seconda occasione, la commissione della nuova traduzione Mondadori.

Punti di forza

Ci sono libri da cui non si vorrebbe uscire mai.

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L’isolato dove potrebbe essere stato immaginato il Grande Magazzino “Il paradiso delle signore”

La capacità descrittiva dell’autore, l’empatia verso i personaggi, il realismo delle loro dinamiche psicologiche e la prospettiva di un disegno d’amore riabilitativo hanno reso questo libro per me potentissimo e affascinante.

Mi sono ritrovata a passeggiare con l’omino di Google Earth per visitare l’isolato fra Rue du 4 septembre, Rue de la Michodiere e Rue de Choiseul. Nel libro è nominata Rue du Dix-Décembre, ribattezzata 4 Septembre nel 1870. Ho visitato virtualmente l’Au Bon Marché a cui Zola (e al cui proprietario) si è ispirato liberamente. Questo negozio era già una boutique rinomata dal 1838; al 1869 risale la posa della prima pietra dell’edificio che si conosce oggi, utilizzato già dal 1872.

Per lo Zola del 1882, quindi, Au bon Marché si presentava come fulgido esempio di comunicazione avanzata, con esposizioni sorprendenti, sale d’attesa per gli uomini, spazi dedicati ai bambini, quasi duemila impiegati e un efficacissimo battage pubblicitario su volantini, palloncini e carri.

“Appoggiò la fronte a’ cristalli, e si mise a guardare l’uscita. Il sole, che stava per nascondersi, tingeva di giallo la cima delle case (…) E l’anima di Parigi, un soffio enorme e dolce, s’addormentava nella serenità de la sera, correva in lunghe e molli carezze sulle ultime vetture, per la via a poco a poco libera dalla folla, e già coperta dal buio della notte”.

“Il paradiso delle signore” è un libro scritto per le donne e sulle donne: ne tradisce l’animalità e ne esalta i pregi. Rivela loro i meccanismi e l’avidità che sottendono il mercato che mira alla quantità piuttosto che alla qualità. Infine propone un concetto interessantissimo di dominio, che si capovolge durante la narrazione e che mi è piaciuto molto.

Cristina Mosca