“Il soccombente” di Thomas Bernhard (L’Espresso)

“Il soccombente” di Thomas Bernhard (1983) ed L’Espresso

“Il soccombente” è un romanzo di Thomas Bernhard scritto nel 1983 in prima persona. Parla di amicizia, competizione, perfezionismo e pianoforte. Vi piacerà se vi appassionano i libri scritti con la tecnica del monologo interiore.

Cos’è “Il soccombente”

L’io narrante ci presenta subito la morte di due amici a poca distanza l’uno dall’altro: uno per cause naturali e uno per essersi suicidato. L’incipit infatti suona così:

“Anche Glenn Gould, il nostro amico e il più importante virtuoso del pianoforte di questo secolo, è arrivato soltanto a cinquantun anni, pensai mentre entravo nella locanda.

Solo che non si è tolto la vita come Wertheimer, ma è morto, come si suol dire, di morte naturale”.

Questi sono due degli unici tre paragrafi contenuti ne “Il soccombente”. Le altre 160 pagine dell’edizione uscita con La Repubblica nel 2003, che ho letto io, sono un monolitico flusso di coscienza che non va mai (m-a-i) a capo e che se ci piace è bene, se non ci piace invece ci soffocherà inesorabilmente.

Il tema portante è l’ambizione: quanto può incidere la presenza di qualcuno più bravo di te, nel mestiere che scegli o nell’arte che vorresti esercitare? Cosa concorre allo sgretolamento di un individuo che non si è neanche concesso il lusso di tentare?

Punti di forza

“Il soccombente” è un romanzo dalla spiazzante capacità introspettiva, che non ha paura di dare un nome ai cattivi sentimenti e che cerca di scavare nell’infelicità umana.

“Wertheimer insomma si era innamorato, o addirittura era rimasto ammaliato dal proprio fallimento, pensai, e in questo fallimento si era incaponito fino alla fine. In effetti potrei dire perfino che pur essendo certamente infelice nella sua infelicità, sarebbe stato ancora più infelice se dall’oggi al domani avesse smarrito la sua infelicità, se questa da un momento all’altro gli fosse stata sottratta (…)”

Durante la lettura si comprendono sempre più a fondo le motivazioni del narratore che desidera fissare nella memoria il senso di un rapporto: un trittico di cui lui si ritrova ultimo testimone. Il tema del suicidio, d’altronde, come scriveva già Pietro Citati negli anni Settanta, è molto forte in Bernhard. In un testo contenuto nel saggio “La malattia dell’infinito. La letteratura del Novecento”, il critico spiega che “Tutti i suoi personaggi, da “Amras” (1964) a “Sì” (1978) , pensano al suicidio: esso è l’atto al quale tutta la vita, che è segregazione e morte, tende come al suo culmine: è l’unico vero oggetto del pensiero; e chi non lo compie, trascorre tutta l’esistenza sotto la sua ombra ferale”.

Però, però, però…

Per la prima metà non sono riuscita a empatizzare con la storia. Il modo in cui è scritta è senza dubbio di impatto, ma non tutte le digressioni e le associazioni mentali hanno saputo tenere salda la mia attenzione.

Poi però è arrivata l’immagine del frassino.

“(…) Glenn in effetti era un tipo atletico, assai più forte di Wertheimer e di me messi insieme, cosa che avevamo potuto constatare una volta di più non appena egli si accinse a tagliare via un frassino davanti alla finestra della sua stanza che, come egli stesso diceva, gli impediva di suonare il pianoforte. Segò da solo il frassino, che aveva un diametro di almeno mezzo metro, a noi non permise neppure di avvicinarci a quel frassino, lo segò in breve tempo in piccoli pezzi che accatastò contro il muro della casa (…). Glenn aveva appena finito di segare quel frassino che a suo dire gli impediva di suonare il pianoforte quando gli venne in mente di fare una cosa semplicissima, e cioè di tirare le tende e abbassare le serrande della sua stanza. Avrei potuto risparmiarmi di segare quel frassino, così disse, pensai. Noi di frassini come quello ne seghiamo di continuo, ne seghiamo moltissimi di frassini mentali come quello, disse, e pensare che usando qualche ridicolo accorgimento potremmo benissimo evitare di segarli, così disse, pensai.”

Questa immagine mi ha costretta a vedere perché in tanti mi abbiano cantato questo libro (e gonfiato forse le mie aspettative). Dentro il romanzo ci sono disperazione, sofferenza, incredulità e voglia di comprendere.

Se temete il flusso di coscienza, consolatevi con il fatto che almeno la storia è breve.

Se poi mettete come colonna sonora le Variazioni Goldberg o il Clavicembalo ben temperato sarà più facile entrarci.

Cristina Mosca