L’ era nuova. Pascoli e i poeti d’oggi – a cura di Gareffi e Damiani

L’ era nuova. Pascoli e i poeti d’oggi

a cura di Gareffi e Damiani

LiberAria

“Ben altro che autore da antologie scolastiche o per bambini, Pascoli è una galassia che comprende tutti i tempi e tutte le scienze, non è solo poesia. Egli è l’umanista moderno, colui che riconcilia natura e uomo, antico e nuovo. È adesso che abbiamo non gli strumenti ma la mente per capirlo. In questo libro quarantasei autori contemporanei (poeti, critici o poeti-critici) molto semplicemente ci raccontano il “loro” Pascoli, in cosa e perché l’opera di questo autore sia ancora attuale e ricca di semi e spunti per il nostro presente. Ne viene fuori un libro che si legge molto bene, che ci parla di Pascoli ma anche del nostro tempo e della nostra letteratura, quella che si sta facendo in questi anni, che non è poi così visibile e conosciuta, specie negli aspetti teorici e intenzionali (con le riviste morte, la saggistica in crisi e il web ancora in gran confusione), e stupisce per le questioni che l’attraversano, e per la quantità di cibi antichi e nuovi che stanno bollendo in pentola.” (Dall’introduzione di Claudio Damiani)

Recensione

Non sono un’amante del Pascoli. Come molti altri, ho scoperto leggendo questa raccolta di interventi sull’autore, ho amato e amo Leopardi, Ungaretti e Montale, ma Pascoli lo sopporto. O meglio: lo sopportavo. Studiato a scuola, la storia del fanciullino, l’ambientazione rurale e campestre, il rapporto morboso e ambiguo con la sorella, il suo essere a cavallo di due secoli… insomma, tutte quelle informazioni – nozioni – che si imparano a scuola. E moltissimo dipende dall’insegnante, ovviamente, perché il mio amava Leopardi, ma disprezzava cordialmente il Pascoli, non lo riteneva certo un gran poeta, piuttosto un frustrato. E io non mi sono mai preoccupata di approfondire, non mi interessava. Come per moltissime altre cose, mi sono accontentata di quello che mi era stato detto e che avevo letto. Poi però mi hanno proposto questo libro e subito ho pensato che fosse un’occasione per leggere e conoscere uno dei maggiori poeti italiani e, perché no?, magari apprezzarlo. E be’, ecco, riletto con gli occhi di chi lo ama, inizio ad amarlo anch’io. E mi rendo conto che tantissime poesie le ricordo e non sapevo di ricordare. E non le ricordo per lo studio, non saprei spiegarle, non saprei ripetere o anche solo ipotizzare che cosa volesse dire il Pascoli (e qui mi viene in mente Rondoni con il suo Contro la letteratura: ma veramente, perché chiedere di studiare quello che l’autore si suppone volesse dire, ma che ha deciso di nascondere in versi? Perché non lasciar fluire i versi e lasciare che i ragazzi li bevano come preferiscono? A piene mani o centellinando, assaporando, ingollando o decidendo di non bere. Come diceva un professore de L’attimo fuggente i ragazzi a 17 anni non sanno pensare, dobbiamo pensare noi per loro. Va be’…).

Adesso penso di non di non aver avuto nemmeno il tempo di amare Pascoli, di lasciare che le sue poesie mi parlassero, studiato sempre di fretta (lui e il Carducci, non so perché), eppure se ancora posso rievocare le emozioni che mi ha suscitato, se le sue poesie mi sono rimaste, forse, a modo mio, in maniera superficiale, confusa, un po’ l’ho amato.

Questa, invece sono certa, l’ho sempre amata, adorata. Una delle mie poesie preferite in assoluto. Perché è un dipinto, come dice bene in questo libro Anna De Simone.

IL LAMPO

 

E cielo e terra si mostrò qual era:

 

la terra ansante, livida, in sussulto;

il cielo ingombro, tragico, disfatto:

bianca bianca nel tacito tumulto

una casa apparì sparì d’un tratto;

come un occhio, che, largo, esterrefatto,

s’aprì si chiuse, nella notte nera.

Milo De Angelis ci fa notare come Pascoli sia

“il più notturno dei nostri poeti. Anche Tasso e Campana lo sono, ma Pascoli è sempre notturno. Lo è per le decine di poesie ambientate di notte o di sera. Ma lo è anche quando la scena si svolge in pieno giorno, poiché di questo giorno Pascoli va a trovare la zona segreta e protetta da un velo. L’indice delle poesie pascoliane è un inno alla notte.”

Questo libro è una raccolta di interventi di studiosi, critici, poeti, professori amanti di Giovanni Pascoli. Alcuni parlano di lui, delle sue poesia, della sua poetica, dell’utilizzo che fa della lingua, delle sonorità e del riappropriarsi di un linguaggio a volte antico e alternarlo al moderno, per poi consegnarlo al lettore, al ‘popolo. Altri parlano dell’influenza del poeta su altri poeti e di come sia stato riscoperto negli ultimi anni.

Sarebbe impresa impossibile e totalmente inutile condensare in queste poche righe la ricchezza che emerge da queste letture. Ognuno di loro, di coloro che hanno composto questo libro, ha espresso un pezzo del proprio punto di vista, magari non tutti in accordi su alcuni aspetti, ma tuttavia armoniosi. Ne esce un Pascoli  più colorato e vivo di quanto non lo ricordassi. Un Pascoli umano e vicino a chi legge, perché gli argomenti sono attuali.

Come molti hanno sottolineato, Pascoli parla spesso della morte: molti protagonisti delle sue poesie sono morti. E qui, direi, subentra il paio di occhiali che indossa il lettore, perché si va da uno stare sulla soglia, a fare da ponte tra la vita e la morte, a un cercare di dare voce ai propri cari, di interpretarne i pensieri e le parole che non furono. Pascoli brulicante di vita, che vive nei ricordi e li rende vivi con le sue parole.

Quello che emerge dal libro è che Pascoli è attuale e antico, vicino e lontano, vivo e morto. Ognuno di noi può prendere ciò che vuole dalle sue poesie, quello che più sente proprio. Sono lì, per tutti noi, donate generosamente da chi per tutta la vita ha cercato… be’, io non lo so che cosa cercasse. Però mi piace. E mi accorgo che la sua influenza è più profonda di quanto non mi fossi resa conto.

Questo libro è un mosaico: ogni pezzo ha il suo valore e potrebbe bastare a se stesso, ma insieme agli altri costruisce un disegno.

Daniela