Ho notato il romanzo di Carmen Pellegrino “La felicità degli altri” (La nave di Teseo 2021) perché è stato presentato al Premio Strega 2021 (oggi è in corsa per il Premio Campiello). Mi ha incuriosita una recensione di Giulia Ciarapica e infine ho deciso di leggerlo quando è stato scelto per il mese di giugno dal gruppo di lettura del Salotto dell’Accademia Molly Bloom. De “La felicità degli altri” parliamo anche qui.
“La felicità degli altri” è la storia di un ritorno. La protagonista, Cloe, è cresciuta in una casa famiglia. In questo luogo, in seguito a un’infanzia difficile, ha potuto conoscere l’amore incondizionato di figure genitoriali e i primi battiti del cuore, ma poi a causa di un incendio tutto si è disperso.
Adesso le viene chiesto di rimettere insieme i pezzi, procedere a un’operazione di ricostruzione e valutare, per dirla con le sue parole, un’eventuale anastilosi.
“La carta del restauro di Atene (1931) raccomanda:
Quando si tratta di rovine, una conservazione scrupolosa si impone e, quando le condizioni lo permettono, è opera felice il rimettere in posto gli elementi originari ritrovati (anastilosi); e i materiali nuovi necessari a questo scopo dovranno sempre essere riconoscibili. Quando invece la conservazione di rovine messe in luce in uno scavo fosse riconosciuta impossibile, sarà consigliabile, piuttosto che votarle alla distruzione, di seppellirle nuovamente, dopo, beninteso, averne preso precisi rilievi.
La carta di Venezia (1964) conferma”
Punto di debolezza
La prima parte del libro è volutamente a brandelli, come quei ricordi che non si possono accettare. È ricca di flashback, evocazioni, allusioni a voci e fantasmi sin dalle prime righe.
Questo ha generato in me un’aspettativa gotica, di un romanzo alla Shirley Jackson, e ci ho messo un po’ ad accettare che si trattava di metafore. Il visibile e il non visibile, il detto e non detto vanno di pari passo, si mescolano e non sempre si riesce a tenere il bandolo della matassa.
Il ritmo è sospeso, come in riflessione: assomiglia a una donna che si regge una guancia, sovrappensiero.
Però, però, però…
Nella seconda parte la trama si intensifica. Il percorso diventa più lineare, le dinamiche più chiare, le verità leggermente più pronunciate. Il romanzo procede catartico ed elegante: la scrittura è profonda ed elegante e lascia molti spunti di riflessione.
“Dicono che la nostra mente registri le esperienze negative più che le positive, e che ciò sia dovuto alle necessità di adattamento dell’uomo delle origini che aveva bisogno di ricordare quando e dove era stato attaccato, per salvarsi la vita”.
Alcuni sottotemi de “La felicità degli altri” sono l’abbandono, la solitudine e l’oscurità: qui Carmen Pellegrino offre il meglio della sua sensibilità. I personaggi sono rarefatti ma significativi. Si fanno latori di ribaltamenti potenti della realtà, come i discorsi sulla luce e sull’ombra proposti dal professor T. (che prende commovente spunto dalla realtà) o la preziosa dignità del piccolo Elias.
Carmen Pellegrino è un’autrice che ho conosciuto volentieri e di cui cercherò i libri precedenti, perché trovo il suo stile e la sua filosofia molto affascinanti.
Cristina Mosca