La natura dell’amore – di John Burnside

La natura dell’amore

di John Burnside

Fazi Editore

Traduzione di Giuseppina Oneto

Dal sito dell’editore

Quando John per la prima volta si accorge che i testi delle canzoni d’amore che passano alla radio hanno un significato, capisce di essersi innamorato. È il suo incontro con l’amore e ha il volto di Madeleine – la cugina che lo incanta con le sue dita affusolate e le unghie dipinte, sempre diversa eppure sempre lei. Madeleine gli fa ascoltare I Put a Spell on You nella versione di Nina Simone, la cosa più bella che lui abbia mai sentito, e mentre suo padre si prepara a lasciare la Scozia per approdare a Corby, dove lo attende un lavoro in un’acciaieria, John è totalmente avvinto da quest’incantesimo, un incantesimo che si trasforma in ossessione e durerà tutta la vita.
E in effetti Madeleine ricorre in tutto il libro: ogni donna che John incontrerà non sarà che un riflesso della cugina, la prima di una schiera celeste di misteriose e belle ragazze che infiammano la sua immaginazione – una sconosciuta che in un caffè gli canta una canzone, un’amica incontrata in un ospedale psichiatrico che danza davanti a lui nella sala da pranzo, e infine Christine, una ragazza di cui da giovane si era follemente innamorato ma che ha rifiutato senza mai spiegarsene la ragione.
La natura dell’amore è uno scorcio lucido e disarmante sul modo in cui gli uomini vivono l’amore e un’indagine sulla natura inquietante dell’attrazione, che si dipana in un labirinto contorto di desiderio e rifiuto. In sottofondo la colonna sonora della vita di Burnside e le influenze culturali che hanno contribuito a plasmare la sua essenza: il jazz e la musica rock, la fotografia di Diane Arbus, i tristi paesaggi invernali del Nord della Norvegia e le abbuffate di LSD a Cambridge.
Questo romanzo è più di un memoir, è un libro sulla memoria, cioè l’altra faccia dell’amore, in cui perdersi e trovarsi sono in fondo la stessa cosa.

Recensione

John Burnside parte dall’inizio, a raccontarci l’amore. Lo fa ascoltando la radio con la cugina. E non sarà solo l’amore per le donne, quello di cui ci parla, è anche l’amore per la musica e per la madre. Nato e cresciuto povero, John si sente in credito nei confronti della società e l’idea che ha delle donne è creata su ciò che lo circonda. Nonostante lui cerchi di andare oltre le idee impostegli dalla società e dalla chiesa, la maggior parte delle donne che incontra da giovane sono come Annie:

“lei era un’operaia più intelligente della media con un marito sconfortante al di là di ogni speranza e il vago sospetto che, pur sapendo di essere sprecata per Corby, non era adeguata a vivere da nessun’altra parte.”

E anche lui si sente sprecato a Corby, piccola cittadina dell’Inghilterra.

“A quei tempi non avevo idea di cosa fosse autentico, ma il ragazzino moralista che albergava in me scorgeva dappertutto l’inautentico. ”

“Una volta preda dell’incantesimo, il copione diventa marginale e noi sottoscriviamo un altro patto con il mondo, entriamo nello stato che i vecchi scozzesi chiamavano glamourie, un incantamento nel quale ogni cosa, anche gli oggetti o gli avvenimenti più comuni, sono investiti da possibilità magiche.”

Burnside ci porta nel suo mondo: ci racconta alcuni episodi che lo hanno segnato, dalla cugina, a un omicidio di cui ormai in paese nessuno ha più memoria, i primi viaggi con l’LSD e il tentativo di andare all’università. Parla molto anche della madre, figura amata e odiata da piccolo, ma ora compresa. Parla meno del padre, anche se ne dà un’idea precisa, negativa per il rapporto con la moglie, ma con alcuni aspetti del carattere che lui sente di avere ereditato e che lo hanno aiutato a crescere:

Perseguitato per anni dall’inettitudine di mio padre e preoccupato che un giorno avrei scorto i suoi tratti che mi fissavano attraverso lo specchio, dimenticai la forza interiore di mia madre e la sua schiva capacità di tenere testa alle dolenti minuzie di un tran-tran quotidiano quasi insostenibile.

Non posso affermare di sapere cosa vuol dire essere uomo, ma ciò che imparai sulla nostra umanità lo imparai in primo luogo da mia madre.

Secondo Oscar Wilde «il matrimonio è il trionfo dell’immaginazione sull’intelligenza»; il guaio è che, vivendo in una casa a schiera nella New Town di Corby, tenere vivo un matrimonio comportava più immaginazione di quanta se ne avesse a disposizione. E se chiunque di noi avesse posseduto anche un briciolo di intelligenza, avrebbe capito subito che in una società che si impegnava tanto a scoraggiarci almeno dal piacerci, se non dall’amare noi stessi, aspettarsi di amare un’altra persona – non un tipo, ma una persona in carne e ossa – era pretendere un po’ troppo.

Ciò che mi diede mio padre furono la rabbia contro l’ingiustizia e una certa erraticità che, nel migliore dei casi, mi rende insofferente alle risposte facili e alle idee generalmente accettate, insofferenza che però a volte sfocia in un pensiero originale.

Non mancano passaggi di riflessione sulla società, su ciò che pensava da piccolo e di come si sia evoluto il suo pensiero.

Il termine Tao si riferisce al vasto e al grande; il termine Li si riferisce alle innumerevoli reti simili ai capillari incluse nel Tao […]. Il Li somiglia a un filo composto dalle singole fibre, come questo cesto. Un listello va da una parte e l’altro va da quella opposta. È anche come le venature del bambù. Per il dritto sono di un tipo, per il trasverso sono di un altro».)

La cosa chiara è che il dritto e il traverso, l’una parte e l’altra, sono entrambi indispensabili alla coesione: nel vero ordine che scaturisce dal wuji (l’essere primordiale) il thrawn non è casuale, ma definisce il testardo rifiuto all’imposta Versione Autorizzata delle cose, la quale semplicemente non funziona.

Il libro di Burnside è un lungo viaggio nella memoria, non sempre piacevole, in cui ci mostra il mondo come lo ha conosciuto lui, con le idee di un bambino prima e di un ragazzo dopo, con le difficoltà di una mente che a un certo punto va in tilt, la difficoltà di riconoscere che cos’è reale e che cosa inventato. Alla fine il quadro è di una vita vissuta, molto nelle memoria e nell’idea delle cose, ma questo è ciò che l’autore ci mostra. Le sua difficoltà, le sue esperienze e le incertezze.

Un libro denso, ricco di citazioni e riferimenti, non è solo un viaggio nella memoria, è l’opportunità che di dare al lettore un pezzo del mondo così come lo ha visto e come lo ricorda lui. Ed è qualcosa di prezioso.

Arriva un tempo in cui la vita interiore ruota soprattutto intorno alla memoria. I grandi amori e le grandi ferite appartengono al passato come le speranze e le preghiere, e a quel punto tutto sta nel vivere nel quotidiano, nel soffermarsi sul particolare minuto dove continua il vero ordine delle cose, insignificante ed essenziale come la patina delle prugne o lo smalto screpolato di una ciotola Imari dipinta in un’antica natura morta.

E chiude con un saluto, che a me è piaciuto molto:

Ci rincontreremo. Ci rincontreremo sempre, e ancora e ancora e ancora. Ma non come l’idea che avevamo di noi.

Daniela