“La peste” di Albert Camus (Bompiani)

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“La peste” di Albert Camus

“La peste” è un romanzo del 1947 di Albert Camus che è arrivato in Italia nel 1948. È stato ripubblicato da Bompiani nel 2017 nella traduzione di Yasmina Melaouah; io l’ho letto nell’edizione del 1953, tradotta da Beniamino Dal Fabbro.

Nei mesi del lockdown, all’inizio del 2020, il romanzo ha avuto nuova fortuna in Italia e in Francia, con un inaspettato boom di vendite. Col senno di poi, questo romanzo si propone avveniristico, empatico, sensazionale. Di Albert Camus abbiamo recensito anche “Lo straniero”.

Cos’è “La peste”

Nella cittadina algerina di Orano negli anni Quaranta scoppia la peste. La città viene isolata e gli abitanti lasciati ad attendere che l’epidemia finisca.

Questo, in due parole, potrebbe essere la sintesi del romanzo.

Ma due parole non bastano perché “La peste” è molto di più.

Ci è stata vista l’allegoria della propagazione del nazionalsocialismo, ma letto con gli occhi del 2020 almeno nella prima parte sembra raccontare precisamente quello che è accaduto al mondo a causa del Covid-19.

La voce narrante de “La peste”, in terza persona, fornisce il punto di vista di chi la combatte in prima linea, un medico.

“(…) Rieux capiva che non aveva più da difendersi contro la pietà, quando la pietà è inutile. E nella sensazione del suo cuore chiuso lentamente su sé stesso, il dottore trovava l’unico sollievo alle massacranti giornate.”

Punti di forza

Empatico, preciso, addolorato, disperato. Appena trentenne, Albert Camus entra con capacità stupefacente nella psicologia dei personaggi e della collettività, mostrando le loro reazioni di fronte a un evento che va al di sopra della comprensione e della prevedibilità umana. La negazione, l’egocentrismo, la distanza: l’analisi di questi e altri aspetti analizzati sembra rispecchiare precisamente quanto vissuto da tutti allo scoppio della pandemia del 2020.

“Per il momento egli voleva fare come tutti coloro che avevano l’aria di credere, intorno a lui, che la peste può venire e andarsene senza che il cuore dell’uomo ne sia modificato”

In “Vite che sono la tua” (Laterza 2017), di cui vi parleremo tra qualche mese, Paolo Di Paolo definisce Camus come un dispensatore non “di certezze, ma di dubbi. Non è l’artista seduto, ma non è nemmeno quello blindato in un impegno ideologico. Non è un bugiardo”. Albert Camus penetra il cuore e la mente dell’uomo con chiaroveggenza e disarmante semplicità.

“E siccome un uomo morto non ha peso che quando lo si è veduto, cento milioni di cadaveri sparsi attraverso la storia non sono che una nebbia nella fantasia (…). Diecimila morti fanno cinque volte il pubblico di un grande cinematografo. Ecco, bisognerebbe far questo: radunare le persone all’uscita di cinque cinematografi, condurli in una piazza della città e farle morire in un mucchio per vederci un po’ chiaro.”

Cucito nella trama del romanzo c’è lo stesso messaggio ripreso poi da “La notte si avvicina” di Loredana Lipperini: la peste, il male, è già dentro ognuno di noi.

Però, però, però…

Ho un solo però: mi ci sono fritta gli occhi, per la fame che avevo di finire di leggere “La peste”. Completamente conquistata dal pathos, partecipe nella paura del contagio, influenzata dalla diffidenza e dal lento svuotamento dei personaggi, cercavo a perdifiato anche la mia storia, che è stata la storia di tutti. Più leggevo e più la trovavo e più mi stupivo.

“Le misure sono insufficienti”.

“Ho le cifre”, disse il prefetto, “e sono davvero preoccupanti”.

“Sono più che preoccupanti, sono chiare”.

Ecco, per me “La peste” è stata fonte di stupore continuo. Ho messo da parte talmente tanti passaggi che alla fine ho deciso di comprarlo. Consigliatissimo.

Cristina Mosca

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