“La ragazza di Bube” di Carlo Cassola (Mondadori)

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“La ragazza di Bube” di Carlo Cassola, Mondadori 1965

Pubblicato nel 1960 per Einaudi, ma ambientato nel 1946, “La ragazza di Bube” è il romanzo con cui Carlo Cassola vinse il Premio Strega lo stesso anno. È diventato presto un film diretto da Luigi Comencini con Claudia Cardinale e George Chakris. È un classico della narrativa italiana del dopoguerra. Nella foto: l’edizione Oscar Mondadori 1965.

Cos’è “La ragazza di Bube”

Il “Bube” del titolo è il soprannome di Arturo, un ragazzo toscano che fa innamorare Mara ma che si mette nei guai. È un comunista e si lascia trascinare in disordini sociali che lo costringono a espatriare. La seconda guerra mondiale è finita da poco e i personaggi sembrano stupirsi che i fascisti siano considerati uomini come gli altri e che uccidere un fascista sia considerato un reato.

Viviamo il romanzo dal punto di vista di Mara, che in attesa delle lettere di Bube deve trovarsi un lavoro. In un paese vicino, conosce Stefano che si presenta come un amore molto più concreto di quello ormai aleatorio di Arturo.

Mara è combattuta fra i due uomini, specie perché la famiglia appoggia fortemente il suo fidanzamento con Bube e lei non ha parlato a nessuno di Stefano.

Punti di forza

Riletto dopo più di vent’anni perché scelto dal gruppo di lettura su Facebook “La chiave di lettura” per il mese di marzo, “La ragazza di Bube” mi ha dato una nuova chiave di lettura (appunto) che mi ha permesso di staccarmi dalla storia d’amore su cui mi ero concentrata da ragazza e allargare la mente sulla situazione socio-politica del dopoguerra.

In questo modo ho potuto godere di una panoramica a tinte leggere e calde, dai colori della campagna toscana, e ho potuto ammirare la semplicità e il pragmatismo di Cassola e dei suoi personaggi.

L’ho ascoltato grazie a “Ad alta voce” e la caratteristica più gustosa è stata l’accento toscano di Alessandro Benvenuti.

Però, però, però…

Potremmo far leva sulla vecchia storia delle differenze di genere: può un uomo scrivere per conto di una donna e viceversa? Qui troviamo una creatura, narrata in terza persona, leggiadra come un folletto dei boschi e pesante come un’asceta rivestita di silicio. Le differenze di genere sembrano venire livellate dalle difficoltà della ripresa del dopoguerra.

“La corriera si mosse. Passò sotto la porta. Percorse un tratto del viale alberato lungo le mura, poi affrontò la discesa.

Alla prima curva si scoprì la Val d’Elsa. C’era un mare di nebbia laggiù da cui emergevano come isole le sommità delle collinette, ma il sole, attraversando con i suoi raggi la nebbia, accendeva di luccichii il fondovalle.

Mara non distoglieva un momento gli occhi dallo spettacolo della vallata che si andava svegliando nel fulgore nebbioso della mattina.”

Mara è una farfalla guardata con tenerezza, ha sempre la battuta pronta e si trova spesso in situazioni ambigue con l’incoscienza di una bambina. Allo stesso tempo è una donna di cent’anni, che vuole sacrificarsi al dovere e alle aspettative. Qui l’autore fa un passo indietro e non pronuncia quello che anche in lei resta impronunciato: il bisogno di pensare a sé stessa, di scegliere cosa la faccia felice. Ma siamo noi lettori a restare con una grande malinconia in cuore, perché nel frattempo il suo dilemma è diventato il nostro e restiamo a chiederci se anche noi avremmo fatto la sua stessa scelta.

Cristina Mosca