“La ragazza in giardino” è un romanzo di Marise Ferro (nata Maria Luisa Ferro) pubblicato nel 1976 e riproposto da Elliot nel 2022. È stato scritto quando l’autrice era settantenne e aveva dietro di sé una lunga storia di narrativa, giornalismo e traduzione. La sua narrazione si è incrociata con quella di Alba De Cèspedes, Paola Masino e Sibilla Aleramo sul settimanale “Foemina” tra il 1946 e il 1947.
Cos’è “La ragazza in giardino”
Scritto in prima persona, il romanzo ha per protagonista Laura, affidata a nonna Leo (Leontina) da dei genitori che l’hanno “partorita per errore”. La nonna è insieme scorbutica e dolce, domestica e selvatica insieme. Il suo amore per il giardino si traduce in gesti: ora toglie una fogliolina secca, ora si occupa degli insetti; e povero chi tocca i due giardinieri che ci lavorano. Il giardino sarà la sua vita e anche la sua morte.
In mezzo, Laura affronta l’adolescenza inebriata dai profumi, allo stesso tempo protetta e prigioniera del giardino; e incontra il primo amore, che vive profondamente e sensualmente come in un romanzo di D. H. Lawrence.
“Ma delle persone umane non sapevo nulla”
Grazie alla prefazione all’edizione Eliot di Francesca Sensini, professoressa di italianistica presso l’università di Nizza, scopriamo che “La ragazza in giardino” ha fortissimi richiami autobiografici. Troviamo un’ambientazione famigliare all’autrice, che già in precedenza ha proposto figure statuarie di nonne liguri, più o meno aderenti alla nonna che l’ha cresciuta, e nipoti solitarie che diventano affamate lettrici. Scopriamo, inoltre, che il giardino nominato nel libro, con le sue terrazze, la mimosa sensitiva e la prossimità al mare, esiste veramente e si può identificare in Villa Hanbury, a Ventimiglia.
Punti di forza
La prosa de “La ragazza in giardino” è fondamentalmente semplice, ma ha dei picchi lirici che non ne ostacolano la scorrevolezza. Mi sembra che questo sia uno dei suoi maggiori pregi: la lettura è stato molto piacevole.
Ho trovato i personaggi tratteggiati bene e i temi ruvidi spiazzanti. La cosa che mi ha stupito di più, in questo romanzo, è che da ogni evento tragico, che sia un aborto spontaneo o un lutto, sorge nuova consolazione.
“È la vita che corre e cerca equilibrio anche nella scia della morte”
La protagonista è circondata di mancanze che riesce a riempire solo con i libri. Non legge al chiuso: si perde in estasi in un angolo del giardino.
È un’ambientazione talmente idilliaca e dolciastra, che anziché stancare fa venire nostalgia dell’adolescenza.
Però, però, però…
Il crescendo bucolico alimenta la curiosità verso il destino dei personaggi, anzi, più propriamente sembra prepararci a un qualcosa che debba arrivare, una notizia strepitosa, una svolta narrativa. Le vicende invece evolvono in maniera tenue, orizzontale, sembrano ruotare su sé stesse nonostante attraversino il tempo e le stagioni. E poi, il finale cade in picchiata.
“Mi dicevo che il giardino mi teneva prigioniera, che sarei avvizzita così, tra i suoi alberi e i suoi fiori”.
Mi è sembrato che la figura della nonna, molto intensa per la prima metà del libro, praticamente sparisca nella seconda metà e questo mi ha resa, di primo acchito, un po’ perplessa. A sangue freddo ho notato che invece il cerchio si chiude bene. Il giardino diventa un’ambientazione che impregna il libro di profumi e che si impregna a sua volta: di assenze, di fanciullezza, di amore, di carnalità.
Cristina Mosca