“La Suocera sul Petto” di Alessio Biondino (Ianieri)

"La Suocera sul Petto" di Alessio Biondino (Ianieri)

“La Suocera sul Petto”
di Alessio Biondino
Ianieri

Dal sito dell’editore:

La suocera sul petto e altre storie vere è un album di vicende realmente accadute, che hanno ispirato il racconto di quegli attimi di ordinaria quotidianità in cui c’è bisogno immediato di una mano tesa.
La suocera sul petto è l’insolita metafora della vita, di ciò che da un momento all’altro può renderla assai complicata o metterla a rischio: con leggerezza e ironia, Biondino narra quelle situazioni in cui la solidarietà si ritrova, naturalmente, a sgorgare.
Un libro delicato e profondo, che ricorda a tutti – con un sorriso realista – la fragilità della condizione umana, da cui nessuno può prescindere, ma che è comunque, sempre, occasione di incontro e di scoperta.

Recensione

Alessio Biondino raccoglie in questo libro diversi aneddoti che lo hanno ispirato. Sono episodi che portano con sé metafore importanti, la felicità può essere spazzata via in un istante da una diagnosi inaspettata, lasciare poco tempo a disposizione. Tutti sappiamo che prima o poi non ci saremo più, ma come cambia la percezione per coloro che hanno la certezza della fine? E per quanti stringono loro la mano nell’attesa che la morte sopraggiunga? Le corsie degli ospedali sono luoghi di transizione in cui il tempo non esiste, scandito soltanto “perpetui bip dei monitor collegati ai pazienti, agli allarmi dei macchinari e ai dialoghi tecnici tra gli operatori sanitari, che si susseguono in una monotona e infinita giostra di camici”

Incontriamo le vite dei pazienti che non sono soltanto corpi stesi sui letti, sono amori, gioie incontenibili, storie di innamorati che attendono dietro un vetro una buona notizia che spesso non arriverà. E ci sono i medici, i  sanitari, dentro quei camici, che lasciano fuori dalle porte di ingresso dell’ospedale le proprie vite, altrettanto complicate:

Varcando quella soglia, quasi un portale interdimensionale, ci si lascia alle spalle la propria vita, i propri problemi, i propri sogni e anche il tempo materiale per ricordarsi che tutto ciò esiste davvero.

Sarah, ad esempio, che felice e innamorata del suo Emanuel durante una passeggiata in montagna alla diciassettesima settimana di gravidanza ha un malore e perde conoscenza. Per sempre.

Ogni capitolo è un quadro, che raccoglie un’intera esistenza, ma tutto sembra collegato come in un grande disegno superiore, che per qualche ragione segna i percorsi e, ineluttabile, la vita prende e dà, in un carosello di emozioni di cui l’autore può soltanto essere spettatore e veicolo per condurle fino a noi.

La tempesta di emozioni positive e tutte quelle lacrime
di gioia devono lasciare il posto a un’estrema tristezza, che
ha il gusto amaro e brutale dell’inevitabilità: è arrivato il
momento di spegnere quei macchinari, in funzione da 107
giorni, e di lasciar andare mamma Sarah.

Le giornate non passano mai per i degenti. Sono infinite anche per chi li accompagna. Le giornate non bastano mai per gli operatori. Un turbine di impegni, visite, incombenze, cambi di biancheria, distribuzione dei pasti e terapie tiene in allerta il personale. Non c’è tempo di fermarsi più di qualche secondo a riprendere fiato a scambiare uno sguardo o una battuta con un collega.

Mentre dal Portogallo all’Inghilterra, all’Italia, questi affreschi ci insegnano che la latitudine non cambia le sofferenze.

Sono le 9:37 di una mattinata come tante, al reparto di medicina. Caotica, monotona, infinita. Terribile. Nei corridoi, complice l’operatore socio-sanitario nuovamente di corsa e con un pacco di lenzuola pulite in mano che vaga
borbottando, si insinuano a ripetizione voci strane e senza speranza del tipo: «L’anziana del letto 12 ha la diarrea, quella del 6 sta vomitando e quella del 18 vuole sapere a tutti i costi a che ora passa l’autobus. È tardi, non ce la faremo mai a finire in tempo per l’ora del vitto e ha iniziato anche a piovere».

Anita