“L’anno che a Roma fu due volte Natale” di Roberto Venturini (Sem)

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“L’anno che a Roma fu due volte Natale”,
di Roberto Venturini, Sem 2021

Un romanzo autoironico, sorprendente e destabilizzante: ecco tre aggettivi per descrivere “L’anno che a Roma fu due volte Natale” (Sem 2021) di Roberto Venturini, attualmente selezionato per la dodicina dello Strega.

Il romanzo segue le vicende di Alfreda, rimasta vedova in circostanze tragicomiche, suo figlio e gli amici che lui coinvolge per aiutarla a sgomberare casa. Si ritroveranno al cimitero del Verano per soddisfare una richiesta di lei “perché sennò m’ammazzo”, in un’ambientazione molto natalizia per via dalle lucine delle lampade votive che fanno sembrare il cimitero un presepe.

Punti di forza de L’anno che a Roma

La trama, senza dubbio, è originale. La si segue incuriositi dai colpi di scena, inaspettati e assurdi. L’aspettativa del lettore su “cosa si inventerà adesso” non viene delusa. Inoltre Roberto Venturini riesce a disegnare personaggi che sono allo stesso tempo archetipi e macchiette e riesce a essere credibile in entrambi i casi. La sua scrittura è ricca di acrobazie, citazioni, riferimenti popolari. I dialoghi in romanesco sono ciarlieri e veri, inconfutabili.

L’effetto è quello di una festa universitaria, in cui un attimo prima ci si racconta le disgrazie e un attimo dopo si riesce a riderne rumorosamente, uscendone più leggeri.

Però, però, però…

Lo stile dell’autore, croce e delizia al cor. Gli stessi virtuosismi linguistici, messi lì per sdrammatizzare o scherzare (me lo sono immaginato un compagno di viaggio mattacchione, questo Venturini) rischiano di compromettere l’attenzione e di distrarre il lettore. Alcune digressioni rischiano di essere subìte e le similitudini, quando sono molto ravvicinate; di disorientare.

“Avrebbe voluto giustificarsi, dirle per esempio che la felicità mica si riproduce per talea, che non funziona quasi mai, come col glicine. Dirle che la bellezza di quello che si è vissuto in passato non rivive in un altro contesto, e che anche se lui ci provava a innestare sensazioni forti, tronconi di breve serenità vissuta, in una nuova torba rassicurante, non gli radicava più, la felicità.”

L’impressione generale è, tuttavia, che in “L’anno che a Roma fu due volte Natale” sia stato possibile raccontare storie al margine senza renderle patetiche, anzi mostrandole tremendamente reali.

Cristina Mosca