Lascio che l’ombra – di Paola Baratto (Manni editore)

Lascio che l’ombra
Paola Baratto
Manni Editore

dal sito dell’editore

Aris Dal Pozzo, docente di Antropologia e Sociologia e autore di numerosi libri, è scomparso.
Le ricerche non hanno condotto a nulla e ormai i media non parlano più del caso. 
Tre anni dopo la sparizione, Giulia torna nell’antico borgo di campagna dove la vecchia casa di famiglia confina con quella di Aris.
Anche Giulia è scrittrice. E nella cittadina svolge la sua indagine privata. Incontra i vecchi amici di Aris ed in particolare uno, il vecchio professor Console, ossessionato dal mistero insoluto sul quale entrambi hanno maturato un’ipotesi folle e seducente. 
Tra sfumature noir e testi di alchimisti del Cinquecento, un romanzo che riflette sulla progressiva perdita di visibilità e ruolo della figura dell’intellettuale.

recensione

L’ultima volta in cui l’ho incontrato, Aris mi aveva detto: “Giorno dopo giorno, mi sto perdendo”.

Inizia così questo libro di Paola Baratto. Un libro leggero, breve, troppo, di cui avrei letto volentieri altre pagine.

Mi sono piaciuti molto alcuni personaggi, in particolare Aris, protagonista per l’assenza. Scomparso tre anni prima senza lasciare traccia, nessuno lo ha più visto né sentito.

Giulia torna a casa, si confronta con Console, vecchio amico suo e dello scomparso, e scopre che entrambi nutrono lo stesso sospetto.

È possibile che una persona sparisca pian piano, che perda pezzi di sé o che si rimpicciolisca al punto di non esistere più?

Un’ipotesi affascinante che non viene mai del tutto esplicitata, ma fortemente suggerita.

Mi è piaciuto molto anche per la realtà di alcuni dialoghi: con gli occhi di poi spesso raccontiamo cose che non erano e ne tacciamo altre, non perché la memoria abbellisca i ricordi, ma per apparire noi migliori o più interessanti, anche se di interessante non abbiamo niente. La banalità di alcune storie non sarebbe male in sé, se i protagonisti non volessero a tutti i costi reclamarne l’unicità.

Non è colpa sua. Tutti quelli che raccontano trombastorie sono persuasi dell’unicità dei loro orgasmi.

Un racconto interessante, in cui si parla anche di libri, lettura e letteratura.

Leggevamo molto e disordinatamente, prese da una frenesia di conoscenza. Libro dopo libro assecondavamo l’appetito giovanile di sapere. Ma restavamo digiune di consapevolezza.

Giulia e Console tenteranno di ricostruire gli ultimi mesi di Aris, cercheranno indizi tra le pagine di testi antichi e, all’apparenza, poco significativi. Spereranno e resteranno delusi. E il lettore con loro, ché una risposta vera c’è e non c’è.

Con la sparizione di Aris, sparisce anche, metaforicamente, l’ultimo intellettuale di una volta, per lasciare il posto a quello attuale, che per essere visibile deve essere veloce, il tempo di una rapida risposta in tv o di una battuta su Twitter. Non vi è la possibilità di argomentare e spiegare al grande pubblico: il grande pubblico, se vorrà, leggerà il libro, ma per far sì che lo legga bisogno conquistarlo e per conquistarlo è necessario rinnegare un po’ se stessi, perdersi giorno dopo giorno.

Una scrittura fluida e diretta. La protagonista, Giulia, oscilla tra sarcasmo, cinismo e realismo. Le persone scambiano i suoi silenzi per capacità di ascolto, quando semplicemente non ha voglia di parlare o non sa che cosa rispondere.

Così rinserrata in un silenzio quasi autistico, scambiato per predisposizione all’ascolto.

Lascio che l’ombra è un libro che si legge in fretta, ma che si abbandona lentamente. A me ha colpito per la psicologia dei personaggi, il loro sentirsi fuori posto pur essendo al posto giusto. Il non capire e non essere capiti, ma far finta di niente, cosa che facciamo tutti, di continuo. Mi è piaciuto l’adattamento, necessario nelle relazioni, senza sopprime il giudizio continuo nei confronti di tutti. Perché tutti pensiamo qualcosa di ogni persona con cui ci relazioniamo, ma lo stare in relazione significa anche adattarsi e nascondere pensieri, pezzi di noi stessi.

L’impressione di essere fuori posto in ogni ambiente e consesso umano, di riscontrare sempre più spesso disarmonie con chi ci circonda, è una condizione cui prima o poi ci si abitua.

Il disagio dei primi tempi vien meno. Sentirsi estranei non ci amareggia più.

Arriva il momento in cui si abbandona il terreno prima ancora che inizi lo scontro, immaginando che in ogni caso la discussione sarebbe inutile.

Non è nemmeno più così rassicurante trovare affinità con qualcuno, perché non si riesce a non pensare che presto una discordanza insanabile salterà fuori, intaccando il resto.

Solo la solitudine dei luoghi offre il sollievo di un’amicizia.

E, in quei luoghi, si finisce per scomparire.

Daniela

Ringraziamo la casa editrice per la copia digitale