Le affacciate – di Caterina Perali (Neo)

Le affacciate
Caterina Perali
Neo

Nina ha perso il lavoro e con esso la sua identità. Passa le giornate a fissare il soffitto, cercando di contare quanti chiodi ci sono nelle travi e nel contempo mantenere un’apparenza di normalità. Invia messaggi ad Anna, la sua amica, alla velocità della luce e senza soluzione di continuità.

Mi danno sicurezza. Contare i chiodi mi rasserena. A loro, non ho nulla da dimostrare. Non devo essere più veloce, più bella, più impegnata, più flessibile, più intonata, depilata, più innamorata, rilassata o informata. Per loro sono perfetta così.

Contare i chiodi permette contemporaneamente di scrivere qualche commento generico sui social network, senza che nessuna depressione da like s’impossessi di me, perché grazie a loro e alle travi, i miei post sono positivi e ironici e piacciono a tutti. A chi non piace la positività?

Sempre sul pezzo quando si tratta di sapere dove c’è stato un attentato, quanti morti, feriti e se qualcuno l’ha rivendicato. Dare ordine al caos la fa sentire meglio, come se potesse controllarlo.

Prima di tutto ciò, prima di cadere in depressione, prima di non sapere più che cosa fare delle proprie giornate, quando un lavoro lo aveva davvero – e non solo per finzione, per non dover dire a tutti che è stata licenziata -, correva sempre. Sempre a rincorrere un imprevisto presunto o reale, a cercare di far quadrare tutto e di rendere gli eventi dei vip memorabili e perfetti, sempre attenta ai mille dettagli e capace di tenere le fila di tutto.

Sembrano passati anni luce da quando credevo che tutto si potesse organizzare, anticipare e risolvere. La vita prevede quello che noi non prevediamo.

Adesso ripensa con nostalgia a quando non aveva tempo di respirare, quando il suo hashtag preferito era #ancheoggisifiniscedomani o simili. Quando andava nelle trattorie di quartiere, frequentava i bar di tendenza coi colleghi e si sentiva utile al mondo. Adesso non le rimane che l’ombra di tutto questo, solo abitudini prive di fondamento.

In questo passare le giornate senza scopo, cercando di essere invisibile per non dover inventare scuse sul perché non è al lavoro, si ritrova a cena a casa di Adele, vicina di casa scorbutica, con cui non ha mai scambiato due parole, nemmeno i saluti.

Si ritrova a cena con Adele la algida, Teresita vestita sempre di animalier e Svetlana la forzuta, una serba che le racconterà la guerra e le insegnerà qualcosa sulla vita e sul non avere pregiudizi.

Per chi è cresciuto in un paese dove la guerra vera – quella coi carri armati e le granate – è solo nella memoria dei nonni, è difficile non avere stereotipi. Per chi non ha potuto ascoltare i loro racconti, l’immaginario di riferimento lo ha creato il cinema.

Nina chiede senza vergogna qualcosa della guerra, non nasconde la sua ignoranza né la sua curiosità. Ma perché? Che cosa la spinge?

Scoprirà segreti, da dove arriva l’eleganza e il riserbo di Agnese, chi è davvero suo figlio, di chi è figlio, e perché lei e Svetlana sono così legate. Scoprirà un mondo, quello che la circonda fisicamente e in cui abita, che non conosce per nulla. Metterà in dubbio alcune certezze, rimpiangendo però, sempre, il suo lavoro.

Perché una ragazza brillante, piena di risorse, non riesce a trovare la propria identità, se non in un lavoro stressante, in cui le scadenze e i problemi si rincorrono e sovrappongono; un lavoro che non le permette di frequentare i suoi amici, se non virtualmente? Un lavoro alienante, perché?

Riuscirà Nina a uscire dalla sua amata superficialità? O invece, alla prima occasione, ci si butterà a pesce?

Daniela

Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea