Le nostre ore contate – di Marco Amerighi (Mondadori)

Le nostre ore contate

di Marco Amerighi

Mondadori

 

dal sito dell’editore

È l’estate del 1985 e a Badiascarna, un minuscolo borgo arroccato sulle colline toscane lontano dalle città d’arte e dai vitigni da cartolina, Sauro Terra inganna il tempo andando a caccia di ramarri e confidandosi con il poster di David Bowie appeso in camera. A quattordici anni non sa che fare della propria vita, ma una cosa gli è chiara: da grande sarà l’esatto contrario di suo padre.

Da quando è stato mandato in pensione anticipata dalla centrale geotermica NovaLago, Rino Terra ha tagliato i ponti col mondo e ora si perde tra i boschi declamando strambi opuscoli di militanza comunista. Anche se ancora non può saperlo, i suoi polmoni sono pieni di fibre d’amianto; l’amianto che si è staccato dai vapordotti della NovaLago e che, come una nevicata invisibile, sta ricoprendo tutta Badiascarna. Stufo di stare sempre appresso a quel padre, Sauro convoca i suoi amici – Momo, un mingherlino timoroso di tutto; il Dottore, con gli occhi di ghiaccio e la strafottenza di chi non ha nulla da perdere; e il Trifo, un ragazzo problematico che prima di addormentarsi ha delle visioni inquietanti – e fonda un gruppo punk. Che importa se la loro sala prove è la cella frigo di un mattatoio? O se nessuno di loro sa suonare? Quando alla band si unisce anche Bea, una magnetica ragazza dai capelli di grano, tutto sembra perfetto. La notte prima del concerto d’esordio, però, l’improvvisa scomparsa del Trifo spazza via i sogni del gruppo.

Vent’anni dopo, a Badiascarna nulla è cambiato: gli operai della centrale si ritrovano ancora nell’unico bar e i vapordotti scintillano al sole ricordando agli abitanti il destino a cui andranno incontro. Solo Sauro, nel suo appartamento di città, sembra diverso, lontano anni luce dal ragazzo che era. Ma quando una telefonata lo informa che Rino, il padre che nel 1985 lo ha cacciato di casa senza un apparente motivo, sembra svanito nel nulla, Sauro accetta di tornare a cercarlo. Anche se non vuole ammetterlo, quel viaggio è la sua ultima occasione per trovare una risposta alle domande che non hanno mai smesso di torturarlo: perché suo padre lo ha allontanato da casa? Cosa ne è stato del Trifo? E che fine hanno fatto i suoi compagni di allora?

Recensione

C’è qualcosa nel libro di Amerighi, qualcosa che si avverte dalla prima all’ultima pagina: un senso di ineluttabilità, la sensazione che le cose andranno comunque male, un destino segnato.

Come le fibre di amianto che si depositano sui vestiti, sulla pelle, entrano nel naso e invadono i tessuti.

E ci sono odio e rancore, rassegnazione e voglia di riscatto.

È l’estate del 1985 e i 4 amici – Sauro, Momo, il Dottore e il Trifo – decidono di fondare una band post punk, qualunque cosa voglia dire, dato che non lo sanno nemmeno loro. Per loro è l’Occasione, l’unica chance che hanno per non morire di amianto, una terra sfruttata, dove la gente ha smesso di lottare perché muore, dove il miraggio di un lavoro fisso fa passare in secondo piano il diritto alla salute. Loro quattro sentono di doversi inventare qualcosa per potersene andare da lì, per poter continuare a sognare un futuro diverso da quello dei loro genitori, felici di vivere in una casa uguale a le altre. Vorrebbero sognare in grande, ma non sanno nemmeno come si fa a sognare in grande.

Sauro e il dottore sono amici da sempre, gemelli diversi, separati alla nascita, di se stessi dicono

“Ci conosciamo così bene che potremmo fare il morto l’uno nel cervello dell’altro”

in realtà non si conoscono così bene come credono e il passaggio dall’infanzia all’adolescenza segnerà la rottura della loro amicizia. O solo sospensione fino a data da destinarsi.

Ma non conoscono l’uno gli incubi dell’altro. Così come non conoscono Momo, non sanno niente della sua famiglia. E il Trifo, un ragazzo buono, ma ritardato. Sta sempre con loro e gli vogliono sinceramente bene, accettano le sue stranezze e ne ridono tutti insieme.

Era in momenti come quello che mi sfiorava il pensiero che quel ragazzone timido e sgraziato, che viveva in una roulotte in compagnia di una famigli di zotici analfabeti, non fosse chi sembrava essere. Chissà, magari ci stava prendendo in giro, magari era lì per insegnarci che il mondo non era solo ciò che vedevamo là fuori, da qualche parte, c’era qualcosa di più profondo, diverso e incomprensibile, e noi avevamo il dovere di andare a cercarlo.

Succede qualcosa quell’estate che separa i quattro per sempre. E non è solo Bea, una ragazza bionda che entra nelle loro come un uragano. È qualcosa di più tragico e drastico: il Trifo scompare. Sauro viene cacciato di casa da suo padre; un padre che a volte sembra posseduto da un’entità aliena. Un padre che scompare, che fa discorsi strani, come se il suo cervello a volte  s’inceppasse.

Tornare a casa dopo vent’anni è una necessità, non una scelta. Lo fa per sua madre, che gli ha chiesto di tornare a cercare il padre, che non si trova da nessuna parte. E Sauro si ritroverà faccia a faccia con i fantasmi del passato. Più quelli del presente. È un’anima in pena, non si dà pace, non sa che scelte fare, gli sembra sempre che sia tutto sbagliato.

Il romanzo di Amerighi lascia quest’impressione: le cose non dovevano andare così, proprio per niente. Però è la vita, e la vita non è giusta. Non basta neanche pregare David Bowie, non ti potrà salvare.

È giusto morire per il lavoro? È giusto dover scegliere tra lavoro e salute? Non lo è, lo sappiamo, ma a volte sembra non esserci scelta, e a volte non c’è davvero.

Ci sono alcune vite che affondano le radici nella sfortuna e, per quanto le fronde diano l’impressione di crescere sane e robuste, sotto la terra ribollono di disgrazie.

Amerighi è molto sensibile all’argomento, non conosco la sua storia, ma sono contenta di aver letto questo libro, perché la vita, purtroppo, a volte è ingiusta ed è ingiusto morire per l’amianto. Se ne parla tanto, è vero, ma si fa sempre troppo poco.

Daniela