Le nove in punto! – di Wilkie Collins (Toutcourt)

“Le nove in punto!”
Wilkie Collins
Toutcourt 2019

Chi non conosce Wilkie Collins trova nei racconti scelti da Toutcourt Edizioni e tradotti da Stefania De Matola per la pubblicazione del 2019 un esempio di narrazione moderna, che da una parte confida nella logica e nello spirito deduttivo che verrà ripreso poi dal romanzo di investigazione e dall’altra, allo stesso tempo, crede nelle cose che non si possono vedere. Wilkie Collins è stato un autore prolifico: coltivava ambizioni letterarie già da giovane, ma quando, quasi trentenne, conobbe e diventò amico di Charles Dickens, ci fu la svolta. Come recita la bandella di Toutcourt, alla fine scrisse venticinque romanzi e molte opere teatrali. Su Chilidilibri abbiamo già parlato di “La pietra di luna”.

Punto di forza

Nel racconto che dà il nome alla raccolta, “Le nove in punto!”, e in “Gli occhiali del diavolo” troviamo due storie costruite sulla suspence e proposte in un confine sottile tra il fantastico e il paranormale. La convinzione della voce narrante diventa la nostra e cominciamo anche noi a credere che l’inspiegabile si possa spiegare con qualcosa di altrettanto difficile da accettare.

Per esempio abbiamo la storia di un condannato a morte che sa benissimo a che ora morirà perché così è stato profetizzato alla sua famiglia. La profezia viene accolta con un misto di orrore e rassegnazione e spinge anche noi a delle domande esistenziali.

Nel secondo racconto, una maledizione colpisce chi veste gli occhiali del diavolo che permettono di sapere cosa è celato in fondo al cuore. È davvero opportuno sapere tutto delle persone che ci circondano? O non è forse vero che, “per vivere in modo corretto e felice con i nostri simili, dobbimo prendere il meglio di loro e non il peggio”?

Queste vicende superano il loro tempo e sono interessanti e non scontate anche per il lettore contemporaneo.

Però però però…

Ho trovato gli altri due racconti della raccolta, “Il piatto avvelenato” e “Il calderone d’olio”, dal ritmo un po’ meno intrigante. Più dediti al commento sociale che al mantenimento della suspence, sembrano atti processuali o forse quei gialli in cui, sì, c’è una ricerca attenta degli indizi e di prove tramite interrogatori e perquisizioni, ma di cui capiamo il colpevole alla terza pagina.

Questi due racconti impongono la morale dell’autore e costringono a guardare in faccia il rapporto fra la giustizia e l’opinione pubblica.

“Una profondo cambiamento si era verificato in lui. Aveva risposto con la calma immobile di un uomo sulle cui spalle poggiava il peso di tutti gli interessi umani”

Nel primo, una governante appena assunta viene accusata di aver avvelenato il suo padrone e di aver tentato l’avvelenamento di tutta la famiglia.

Nel secondo vediamo in scena un soverchiante senso di giustizia personale e fino alla fine non sappiamo scegliere da che parte stare. Da questo punto di vista emotivo ed emozionale, tuttavia, “Il calderone d’olio” può dirsi perturbante e moderno. Come primo passo veniamo messi di fronte a un atto ingiusto, scelto per riparare un’altra ingiustizia. Come secondo, non ci sono climax ad aiutare la nostra attenzione su un punto di rottura della narrazione, quindi non sappiamo bene cosa provare, come dovremmo sentirci e cosa dovremmo aspettarci.

Infine, la narrazione continua fervida e analitica. Il finale ci trova ancora intenti a metabolizzare le vicende, tanto da lasciarci con un sapore amaro in bocca non perché sia andato storto qualcosa ma per quello che abbiamo ascoltato: la missione narrativa può dirsi, quindi, compiuta.

Cristina Mosca