“Lingua madre” di Maddalena Fingerle (Italo Svevo)

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“Lingua madre” di Maddalena Fingerle (Italo Svevo 2021)

Pegaso d’oro dei Premio Ennio Flaiano 2021 e candidato al Premio Strega 2022, “Lingua madre” di Maddalena Fingerle (Italo Svevo 2021) è stato vincitore del XXXIII Premio Italo Calvino nel 2020.

Si tratta dell’esordio narrativo di una trentenne di Bolzano che è da tenere d’occhio, perché ha uno stile narrativo lineare e roboante insieme.

Cos’è “Lingua Madre”

Il romanzo è scritto in prima persona. Il protagonista è Paolo Prescher, bolzanino. Sin da piccolo, il ragazzo ha un fortissimo rapporto con la lingua, tanto che odia quando qualcuno “sporca” le parole. Sì, perché il nostro cervello è fatto così: se qualcuno dice “cane” ognuno pensa a un cane che conosce: non esiste lo stesso cane per tutti. Siamo fortemente condizionati dalle persone intorno a noi, da come usano le parole e dai loro stessi nomi.

Paolo questa cosa non la sopporta, così dopo un forte trauma decide di non parlare più l’Italiano, perché ormai l’Italiano è “sporco”, gli porta solo brutti ricordi. Andrà a Berlino, riuscirà a rifarsi una vita. Ma c’è una cosa che lo riporta a Bolzano, e forse riesce persino a fargli vedere la città con altri occhi (forse).

Punti di forza

Discorso indiretto libero, flusso di coscienza e associazioni mentali sono alla base dello stile scelto da Maddalena Fingerle per “Lingua madre”. Il risultato è accessibile e coinvolgente. Siamo nella mente del protagonista, siamo inseguiti insieme a lui da alcune ossessioni e anche noi vorremmo liberarcene, a costo di lavarcele via, come lui, con il sapone fino a quando la pelle ci fa male.

“Potrei preparare lo zaino e partire. (…) Non dovrei sentire tutti i giorni questa lingua che mi fa male, che mi fa schifo, starei bene, io, lontano da qui”

Quella di Paolo è una scissione di identità. Cosa, meglio di una lingua, esprime chi siamo? Samuel Beckett scrisse “Waiting for Godot” in francese, per ripulirsi dal suo irlandese, per liberarsi ed essere semplice. La dualità bolzanina non fa che infiammare ancora di più il bisogno di interezza di Paolo, la necessità di aderire a sé stesso o piuttosto il diritto di opporsi agli altri.

La vita di provincia perde a tavolino se messa a confronto con la vita in una capitale europea, ma ecco il punto: fuori dal nostro ambiente non siamo davvero nessuno? Siamo davvero liberi di essere chi vogliamo? Un argomento simile è trattato anche da Mario Desiati in “Spatriati”, casualmente (?) ambientato anch’esso a Berlino e incluso nella dozzina semifinalista al Premio Strega.

Però, però, però…

La lettura della prima cinquantina di pagine, non so perché, è stata straordinariamente lenta. Ho avuto bisogno di tempo per convincermi che quello che leggevo non era un semplice esercizio di stile e per entrare nell’ottica del protagonista. È chiaro abbastanza presto che si tratta, molto probabilmente, di un narratore non affidabile. Non gli va mai bene niente: è arrabbiato, disgustato dalla sua famiglia, soprattutto dalle componenti femminili. E tu pensi ecco qua, un altro libro alla “Lessico famigliare”, che non racconta niente e che gira intorno ad aneddoti e virtuosismi linguistici, ma quand’è che tornano di moda i romanzi classici, con trama, punto di rottura, svolgimento, azione, soluzione eccetera?

Poi per fortuna arriva il cavalleggeri e tutto diventa più interessante. La trama c’è, arriva, comincia a prendere forma; i personaggi di contorno diventano tridimensionali, e tu hai un protagonista da seguire.

“Ci sono anche tante parole che si macchiano involontariamente, come quando la collega dice che si veste in maniera dezent, che significa discreto, senza eccessi, ma per me è il decente italiano, con la voce insopportabile di mia madre e allora le macchie diventano così tante e così fitte che si sporca tutta, per davvero.”

Una delle cose belle di “Lingua madre” è che si muove continuamente fra il dentro e il fuori, tra conversazioni dirette e dialoghi indiretti, cose che si dicono e cose che si pensano, a beneficio di una dinamicità bella e produttiva.

Consigliato!

Cristina Mosca