Insieme a quella grande famiglia virtuale che si è raccolta intorno all’hashtag #Famiglietraboccanti di Simona ho affrontato il secondo volume della saga dei Florio di Stefania Auci, “L’inverno dei leoni” (Nord 2021), Premio Bancarella 2022. In verità, dopo aver letto “I leoni di Sicilia” non morivo dalla voglia di leggere il seguito perché l’avevo trovato esaustivo, però quando l’ho visto in Audible l’ho messo da parte. Ho colto l’occasione della lettura condivisa, che si è conclusa questa settimana, per seguire la famiglia Florio anche nella loro decadenza. Vi racconto com’è andata.
Cos’è “L’inverno dei leoni”
Il nucleo de “L’inverno dei leoni” ci porta in un’Italia appena unita, carica di fermento, lotte intestine, rigurgiti di speranza e di fiducia nel futuro. Quello della fine dell’Ottocento è un periodo ricco di contraddizioni e di contrasti, ma anche di tantissime possibilità. Eppure, di tranelli dietro l’angolo ce ne sono parecchi e solo un grande fiuto può evitarli.
Se ce l’hai.
“Chi è lui, senza suo padre? Tutti dicono che è l’erede, ma non sarà piuttosto un impostore?”
A Vincenzo, il facchino di via dei Materassai a Palermo che ha fondato l’impero de Florio, succede Ignazio, che riesce a consolidare e aumentare il potere della famiglia con i legami giusti. Diventa un armatore di primo piano, imprenditore lungimirante e senatore. Muore, però, appena sessantenne, e il figlio Ignazio Jr si trova a mandare avanti un vero e proprio impero commerciale a soli vent’anni. Se ricordate il detto: la prima generazione crea, la seconda conserva, la terza distrugge… non devo aggiungere altro.
Punti di forza.
La maggior parte del romanzo è dedicata alle vite matrimoniali dei Florio, o meglio, alla vita di Ignazio Junior e sua moglie Franca. All’anagrafe Francesca Jacona della Motta di San Giuliano, Franca Florio è stata resa immortale da Giovanni Boldini in un ritratto famosissimo, di cui si parla anche nel romanzo, ed era una moglie molto determinata. La sua famiglia deve superare prove degne di Giobbe, ma non posso anticiparvele perché sono molto coinvolgenti, e non vi dirò neanche se alla fine viene premiata come lo fu Giobbe.
“L’amore, donna Franca, è una bestia ingrata. morde la mano che lo nutre e lecca quella che lo picchia. amare per sempre, amare davvero, significa non avere memoria.”
Assistere alle vicende della famiglia Florio fa riflettere su tantissime cose: soprattutto su quanto sia importante cogliere il mutamento dei tempi e quanto le tragedie personali possano influire sui nostri comportamenti e le nostre scelte.
Però, però, però…
All’inizio dell’ascolto ho trovato le stesse difficoltà di immaginazione che avevo trovato con “I leoni di Sicilia”. Mi sarebbe piaciuta un’ambientazione più precisa, più dettagliata, perché mi manca una visione nitida dell’Italia a cavallo del Novecento e quindi ho bisogno di essere guidata nell’ambientazione. Per dire: si parlava di rivolte popolari e io mi immaginavo degli operai in tuta da meccanico…
“Avevano creduto che “per sempre” significasse viaggiare per tutta la vita lungo un fiume ampio e placido, e invece voleva dire schivare le rocce, evitare i gorghi e i mulinelli, cercare di non finire mai in secca”
Superato questo intralcio visivo, mi sono lasciata trasportare dalle efficaci sintesi storiche e dall’alternarsi di dinamiche politiche e le dinamiche intime; di sfera pubblica e privata. Ho gradito l’introspezione che Stefania Auci ha concesso ai suoi personaggi: l’ho percepita come una dimostrazione di empatia nei loro confronti, e una volontà tenace di renderne i pregi e i difetti in maniera tridimensionale.
Consigliato a chi ama le saghe famigliari.
Cristina Mosca