Lucky man, di Michael J. Fox

lucky man

Descrizione (tratta dal sito IBS)

Michael J. Fox, famoso protagonista della serie di “Ritorno al futuro”, ci racconta la sua battaglia contro il morbo di Parkinson. Canadese di nascita ma statunitense di adozione, Michael J. Fox nasce a Edmonton il 9 giugno del 1961. All’età di dieci anni debutta alla televisione canadese e nel 1982 in quella americana come protagonista di “Casa Keaton”. Al cinema, dopo una produzione Disney, viene scoperto e lanciato da Spielberg, nel 1985, nel ruolo di Marty McFly nel fortunato “Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis. Nel 1991 gli viene diagnosticato il morbo di Parkinson, notizia che renderà pubblica soltanto nel 1998. Nello stesso anno incomincia a investire il suo tempo nella “Michael J. Fox Foundation for Parkinson’s Research” da lui creata.

Recensione

Ho deciso di scrivere una recensione a questo libro dopo aver letto che le condizioni di Michael J. Fox sono molte peggiorate nell’ultimo periodo.

Ho letto questo libro più di dieci anni fa, quando uscì in Italia. Ero andata in libreria per altro, ma appena lo vidi decisi di comprarlo. Amo Michael J. Fox, mi è sempre piaciuto, dai tempi di Casa Keaton e, ovviamente, Ritorno al futuro. Ho il cofanetto platinum della trilogia, per farvi capire. Mi piace talmente tanto, che il personaggio che interpreta in The good wife, un avvocato senza scrupoli, che lavora per le peggiori compagnie, etc…, mi è simpatico, non riesco a non farmelo piacere, è più forte di me.

Però quando ho iniziato il libro non mi aspettavo niente. L’ho comprato perché era suo. Certo, sapevo del Parkinson, della sua associazione, ma non era questo il motivo dell’acquisto. E non era nemmeno scoprire torbidi segreti: ero solo curiosa.

E il libro è stata una piacevolissima scoperta. La scrittura è semplice e fluida, senza pretese. La storia anche: è banalmente la sua storia. E come la racconta, ci dice molto della persona oltre che del personaggio. Racconta dei suoi esordi a scuola in Canada, del trasferimento negli US e delle difficoltà iniziali. Ammette di essere stato fortunato e di aver incontrato il successo presto. Ripercorre alcune tappe divertenti e altre dolorose, come la perdita del padre o i problemi con l’alcol, e si racconta senza vergogna, parla della sua arroganza, del pensare che poiché era famoso avrebbe ottenuto qualunque cosa e gli altri venivano dopo di lui. Parla della moglie, con cui è sposato da quasi trent’anni e del loro primo incontro sul set di Casa Keaton. Parla di molte cose, della malattia, delle difficoltà nell’accettarla, nell’affrontarla, del dolore fisico ed emotivo. Il ritratto che ne emerge è quello di una persona ordinaria che si è ritrovata a fare grandi cose: se non avesse avuto il successo che ha avuto come attore, guadagnando parecchio, non avrebbe mai potuto fondare la sua associazione, finanziarla e portare avanti campagne di sensibilizzazione sul tema del Parkinson.

Questo ho apprezzato tantissimo di lui: la sincerità con cui si racconta.

Tra i tanti passaggi che mi sono rimasti impressi c’è quello in cui dice che è diventato attore perché è il primo lavoro in cui hanno iniziato a pagarlo. Lui suonava e recitava, ma iniziarono a scritturarlo come attore, decidendo così che cosa avrebbe fatto “da grande”.