“L’unica notte che abbiamo” di Paolo Miorandi (Exorma)

L’unica notte che abbiamo
Paolo Miorandi
Exòrma

L’unica notte che abbiamo è un romanzo profondo, che parla alla memoria e ai ricordi custoditi in ogni casa. Un romanzo familiare, una storia a più voci che si costruisce attorno al ritrovamento di lettere e testimonianze. Il passato bussa apparentemente per caso, ma è sempre il destino a guidare la vita. Un uomo si ritrova inconsapevole destinatario di una lettera che una signora gli consegna perché ne sia depositario. E l’ascoltatore inconsapevole diviente testimone involontario ma importantissimo per il perpetuarsi del ricordo.

L’anziana racconta una storia, la sua, attraverso parole che nessuno sembra aver mai voluto ascoltare e racconta dei campi e della nonna, del rapporto col padre che in un bar affoga la tristezza di una sconfitta. Come in un processo notturno la donna cerca prove e colpevoli, semina indizi e lascia la sua testimonianza. Si racconta di abbandoni, di dolore, tristezza e solitudine, disperazione e passato.

I due, l’anziana e il suo interlocutore, abitano uno al piano di sotto e l’altra a quello di sopra. Lei ha una valigia piena di fotografie. Racconta la storia di una ragazza di montagna che viene presa a servizio in un hotel. Qui subisce le ripetute violenze del figlio del proprietario di cui resta incinta due volte e mette al mondo i figli in solitudine mentre il padre dei bambini viene spedito a cercare fortuna in Argentina.

La ragazza disperata fugge abbandonando i figli che saranno affidati alle maestre del paese. Qui i due bambini crescono e la narrazione si fa fitta di voci, dialoghi, racconti, accarezzati da una lingua aulica e ricercata, con lunghi periodi che affascinano per costruzione. L’autore ha uno stile molto elegante e raffinato.

Ernesto e Gioacchino, questi i nomi dei due protagonisti della storia dell’anziana, figlia del primo vivono vite diverse, con diversi dolori, mogli, dipendenze, violenze, infelicità. Lei cerca di scavare in quel passato per far emergere la colpa, comprendere le responsabilità.

Una lettura impegnativa, che affascina e scuote, questo romanzo di Miorandi.

Sinossi

Di notte, un uomo alla finestra. Ascolta voci che tornano da oltre il buio. Sono quelle che un’anziana signora, poco prima di tramutarsi anche lei in pulviscolo di parole, ha consegnato all’uomo che ne diventa il custode. Perché ogni essere umano – è questo che l’uomo si dice – prima o poi è chiamato a prendere in consegna la voce di un altro essere umano, e ogni vita è chiamata a offrire la propria voce, per quanto flebile essa sia, a un’altra vita.

Le parole giungono come relitti su una costa solitaria. Sono i morti che parlano, ma non tra di loro e nemmeno con i vivi. Monologano, chiusi ognuno nella bolla del proprio ricordo. Ripetono il frammento di storia in cui tutta la loro esistenza è contenuta, come un pianeta che un’indicibile forza di gravitazione ha fatto collassare su sé stesso e trasformato in un unico minuscolo grumo di materia. Ognuno torna sul luogo della propria ferita e la esibisce come per chiedere perdono.

L’anziana signora ripercorre le vicende della sua famiglia che nessuno ha mai voluto né raccontare né ascoltare. Cerca tra le mura di un paese senza vita la ragazza che ha abbandonato il figlio, suo padre, poco dopo averlo messo al mondo.

Rivede la maestra, a cui il bambino è stato affidato, impegnata nella sua estenuante interrogazione di fronte al silenzio di Dio e di un corpo incapace di dichiarare il suo bisogno d’amore. Ripercorre la via dei campi con la nonna materna, per lunghi periodi suo unico sostegno affettivo. Rivive il rapporto conflittuale con il padre, un sagace perdigiorno di paese, intimamente e indelebilmente ferito dalla tragica esperienza della ritirata di Russia, che ha eletto i bar a proprio dimora. Quella dell’anziana signora è una deposizione che non risparmia le accuse, ma che allo stesso tempo va in cerca di prove per una possibile assoluzione dei protagonisti. È anche una deposizione di corpi sofferenti e mortali, spogliati via via dei propri sintomi, gettati ai margini del tempo e divenuti sacri proprio in ragione della loro inermità.

Anteprima

Ma non voglio inventarmi scuse né farla lunga, il fatto è che ero così giovane e non sapevo niente di come va il mondo, ero solo una bestia selvatica cresciuta assieme alle galline e ai conigli nei prati qui sotto e nei cortili tra queste poche case, una bambina che non poteva nemmeno ricordare la faccia di sua madre – mi dissero che il male di cui soffriva l’aveva portata via pochi mesi dopo la mia nascita – e a stento riconosceva quella di suo padre.