“Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?” di Philip K. Dick

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“Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?” di Philip K. Dick (1968)

San Francisco, anno del signore 1992. Le persone si spostano in aeromobile e la tecnologia è talmente avanzata che l’unica differenza codificata fra gli umani e androidi è nella capacità di provare empatia. È la panoramica presentata dal romanzo di fantascienza “Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?” di Philip K. Dick, scritto nel 1968.

Che ci fa un romanzo di fantascienza nella rubrica del #lunedìèunclassico ? Perché da questo libro dal titolo forse poco riconoscibile è stato tratto, nel 1982, un film dal titolo molto riconoscibile, che è “Blade Runner”. È, quindi, un classico del genere fantascienza. L’azione viaggia parallela tra la missione di Rick Deckard di “ritirare” (uccidere) alcuni androidi Nexus 6 fuggiti al controllo e le riflessioni del “cervello di gallina” John Isidore che finisce per aiutare alcuni di loro.

Punti di forza

“Ma gli androidi sognano le pecore elettriche” è molto affascinante sin dall’inizio: già nel primo capitolo assistiamo al dialogo fra Rick Deckard e sua moglie circa una “scatola dell’empatia” che permette di scegliere il grado di emozioni, sentimenti, tranquillità da provare e perfino di decidere se cadere o meno in depressione. Religione imperante è il Mercerianesimo, che si basa sulla fusione comunitaria e il coinvolgimento totale.

È un quadro futurista ma non troppo, che fa riflettere molto sul rapporto tra le persone e la capacità individuale di creare legami. La società in cui vive Rick Deckard usa l’empatia come discriminante, eppure quanta differenza c’è, realmente, fra un androide e un professionista? Anche Rick Deckard non può provare empatia per i suoi obiettivi, dunque è un androide senza saperlo? E che succede se un essere umano prova attrazione sessuale per un’androide femmina, nonostante sia illegale avere rapporti fra le due specie?

“(…) Come se il silenzio volesse sostituirsi a ogni cosa tangibile, quindi assaliva non solo le orecchie, ma anche gli occhi. In piedi davanti al televisore, inerte, Isidor percepì il silenzio visibile. E, a modo suo, vivo. Vivo.

Ne aveva spesso avvertito l’austero avvicinarsi, in precedenza. Quando arrivava, gli esplodeva in casa senza alcun rispetto, evidentemente incapace di attendere. Il silenzio del mondo non riusciva a tenere a freno la propria avidità. Non poteva aspettare ancora, non quando aveva già virtualmente vinto”.

La lettura di “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” nasconde alcuni balzi in avanti nella trama e piccoli colpi di scena che aiutano a mantenere alta l’attenzione. Iniziamo a leggere un romanzo di azione e ci troviamo a riflettere su implicazioni etiche, relazionali e religiose.

Però, però, però…

Consiglio di non pensare al film mentre si legge il libro. Come accade spesso in questi casi, si rischia di sovrapporre volti, colori e aspettative a un libro che ha una tensione e luci molto diversi dal prodotto cinematografico. Un elemento fondante della San Francisco del futuro, per esempio, è nel rapporto con la natura: gli animali veri sono praticamente estinti, costosissimi e praticamente indistinguibili dagli animali finti, perfette riproduzioni.

“Perché, in fondo, il dono dell’empatia rendeva indistinti i confini tra vittima e carnefice, tra chi ha successo e chi è sconfitto”

Se pensiamo a quanto conforto proviamo nel contatto con la solidità della natura, possiamo comprendere quanta incertezza potrebbe provocare questa situazione artificiale portata all’estremo. Comunque una delle citazioni più note del film, “Ho visto cose che voi umani eccetera”, sul libro non c’è.

Cristina Mosca