“Mentre morivo” di William Faulkner (Adelphi)

“Mentre morivo” di William Faulkner, Adelphi 2000

Quando William Faulkner pubblicò “Mentre morivo”, nel 1930, né questo romanzo né il precedente “The Sound and the Fury” ebbero successo. Ci volle “Sanctuary”, nel 1931, per attirare l’attenzione del pubblico.

Non è difficile crederlo! Quella di Faulkner è una “prosa oscura”. Nel definirla così, Fernanda Pivano, si mantiene gentile. In una delle prefazioni scritte negli anni Settanta e raccolte in “Mostri degli anni Venti” (Mondolibri su licenza Baldini&Castoldi 2002), lei spiega che Falkner o Faulkner è un autore che desidera stagliarsi contro il panorama lineare della prosa degli anni Trenta. Non a caso incontrò subito il consenso dei fan europei di James Joyce.

La caratteristica di William Faulkner, infatti, è il flusso di coscienza, ma spinto così in avanti che mentre si legge non si sa se odiarlo o ammirarlo per questo.

Cos’è “Mentre morivo”

La trama è interessantissima e si presta a tanti trip mentali: una donna si sta spegnendo nel suo letto e i suoi figli le preparano la bara. Già qui abbiamo un innesco potentissimo per introspezioni profondissime e “sovrumani silenzi”.

La donna si è fatta promettere di venire sepolta a Jefferson, nel luogo in cui è nata. Per mantenere la promessa, la sua famiglia deve fare una traversata incredibile, nonostante un’inondazione, portandosi dietro un cadavere vecchio di dieci giorni.

Il romanzo è ambientato in un Mississippi immaginario, che porta nomi inventati ma che ruota intorno a Oxford, in cui l’autore ha vissuto e che fa da sfondo a gran parte della sua opera.

Punti di forza

Lo stile di William Faulkner è sicuramente di rottura. Inoltre, una vicenda di questo tipo non poteva essere affrontata in maniera convenzionale.

“Certe volte non sono tanto sicuro di chi ha il diritto di dire quando uno è pazzo e quando no. Certe volte penso che nessuno di noi è del tutto pazzo e nessuno è del tutto normale finché il resto della gente lo convince a andare in un senso o nell’altro. È come se non fosse tanto quello che uno fa, ma com’è che lo guarda la maggioranza di noi quando lo fa”

Ecco quindi la prospettiva multipla, ossia il punto di vista di tutti i personaggi (cinque figli, un marito, una moglie, due vicini, un medico, un parroco, un farmacista ecc), ognuno in prima persona, ognuno con il suo flusso di coscienza, ognuno con i suoi ricordi e i suoi flash.

Questo aspetto è stato tecnicamente molto interessante.

Però, però, però…

Spiegazioni di quello che sta accadendo, Faulkner, ne dà poche. A metà libro ho desiderato portare fiori sulla tomba di chi lo ha tradotto.

La sua attitudine è esprimersi per sottintesi, per frasi interrotte, per un numero sterminato di pronomi personali complemento senza che l’oggetto venga mai nominato. Ho capito la metà di quello che è successo. La suspense di alcune scene è stata rovinata da passaggi oscuri, con frasi che sembravano buttate là senza senso, senza collegamenti evidenti.

“Fu allora che capii che le parole non servono a nulla; che le parole non corrispondono mai neanche a quello che tentano di dire. (…) Mi resi conto che la paura era stata inventata da qualcuno che non aveva mai avuto paura; orgoglio, da qualcuno che di orgoglio non ne aveva mai avuto.”

In “Mentre morivo” ci sono alcune pennellate che mi hanno colpita, fino al picco stilistico nel monologo di Addie Bundren. Era molto che desideravo conoscere Faulkner e devo ringraziare la lettura condivisa di settembre del Book Club Italia. Ho trovato la mia copia Adelphi eBook su MLOL, la cui traduzione è stata condotta sull’edizione del 1985.

Cristina Mosca