“New York” – di Edward Rutherfurd (Mondadori)

“New York” di Edward Rutherfurd, Mondadori (2010)

Quasi mille pagine di storie, incontri, ambizione, rispettabilità. E poi lei: la libertà. La libertà di muoversi in un sistema fluido, che dà possibilità di riscatto. È questa la New York raccontata da Edward Rutherfurd nel suo romanzo pubblicato in Italia nel 2010 da Mondadori e tradotto da Stefano Viviani.

La storia

L’ambientazione di “New York” inizia nel 1664 e finisce nel 2009. Attraverso le vicende e gli incontri di alcune famiglie di diverse provenienze e di estrazioni sociali viviamo per trecentoquarantacinque anni nella Grande Mela – un appellativo coniato negli anni Venti, tiene a precisare l’autore.

In particolare assistiamo agli eventi principali che interessano l’isola di Manhattan, da dove tutto è iniziato con la colonia olandese Nuova Amsterdam nel diciassettesimo secolo. Guardiamo le vicende dei Master, eredi di un Olandese, intrecciarsi con le varie ondate di immigrati: dagli Irlandesi agli Italiani, passando per i Tedeschi, gli schiavi africani e gli ebrei. Insieme a loro seguiamo diversi eventi importanti per Manhattan, come il Grande incendio di New York del 1776, i Draft Riots del 1863, il Dakota Blizzard del 1888, fino agli attentati alle torri gemelle del 2001.

La Storia raccontata da Rutherfurd non mostra le guerre mondiali o quelle per i diritti civili: è una Storia fatta di accadimenti a latere, spettacolari e significativi, che investono i newyorkesi e ne mettono alla prova il legame col territorio.

Punti di forza

Questo è un romanzo che trovo adatto agli appassionati di saghe famigliari che amano rendersi conto del fluire del tempo e dei cambiamenti di un posto e di una comunità.

Ho apprezzato molto le scelte storiche e gli stratagemmi usati dall’autore per farci assistere dal centro di una strada o dall’alto di un palazzo i piccoli e i grandi eventi storici che puntellano le vite di queste persone.

“Il sogno americano non era un sogno; era una realtà. La gente andava lì per la libertà e, per quanto arduo potesse essere il cammino, la trovava. Per farcela, era necessario possedre un’etica del lavoro. E anche una buona occasione”.

Trovo che questo romanzo aiuti a capire lo spirito americano perché lo mostra nella sua lunga costruzione. Riceviamo l’idea di un popolo che ha fatto molto per ottenere quello che ha, anche sperimentando, rischiando, investendo. Ci figuriamo un Paese privo delle gabbie sociali europee ma allo stesso tempo orgoglioso di poter fare, al suo interno, distinzioni fra i vecchi e i nuovi ricchi: tra chi ha avuto antenati che hanno contribuito allo sviluppo e chi è un nuovo arrivato dai soldi facili.

C’è una serie di microtrame e di picchi di tensione in cui notiamo ripetersi dei dettagli: mogli e mariti di diverse generazioni, per esempio, si ritrovano a inseguirsi per la città in un momento di pericolo. I discendenti maschi della stessa famiglia tendono a legarsi a donne molto più giovani di loro (buon sangue non mente). Oppure, ancora, alcuni oggetti significativi riescono ad attraversare i secoli a ricordare il profondo radicamento di una famiglia alla città.

Chi è affascinato da queste cose amerà molto “New York”.

Però, però, però…

Ho scoperto Rutherfurd grazie alla lettura condivisa di marzo del gruppo virtuale Book Club Italia e lì ho capito che non è scontato che il suo stile piaccia. Il fatto che, apparentemente, manchi una macrotrama verso cui il romanzo avanza spedito, può pesare a chi cerca l’intreccio e il coinvolgimento emotivo. Il flusso trascinante dei fatti inevitabilmente macina vittime, ma non sempre i personaggi sembrano reagire in maniera adeguata: anzi a volte sembrano non reagire affatto, travolti come sono dalla Storia che deve avanzare, a tutti i costi, senza dare il tempo di elaborare il proprio lutto.

“New York” è consigliato a chi, come me, cerca un modo non faticoso (anche se lungo) per saperne di più di un luogo e delle evoluzioni di un tessuto sociale.

Cristina Mosca