Ponte del diavolo, di Luca Prati

ponte del diavolo

Ponte del diavolo

di Luca Prati

ed. David and Matthaus

collana Blanco

 

Dal sito dell’editore

Nel 1965, Vittorio Delfi si trova a indagare sull’apparente suicidio del fratello Steno, trovato cadavere sotto al Ponte del Diavolo nel loro paese natale in Garfagnana. Vittorio deve addentrarsi in un passato volutamente rimosso, che ora rimette in discussione la sua intera esistenza.
Sullo sfondo dell’indagine campeggia infatti la strage che ha segnato la storia della famiglia Delfi: sul ponte, un gruppo di fascisti – di cui Steno faceva parte – sterminò la famiglia Nistri, vicina di casa dei Delfi, resasi colpevole di avere nascosto un partigiano.
La scoperta della verità passerà attraverso un’altra misteriosa uccisione. E sarà davvero sconvolgente.

Recensione

Questo libro è un noir, un giallo con risvolti storici.

Ambientato in Toscana, nel 1965, si rifà molto a vicende vissute dai protagonisti nella prima metà del secolo: Guerra di Spagna, Seconda Guerra Mondiale e anche un accenno alla Prima Guerra.

Per chi, come la maggior parte di noi, è nato dopo quegli avvenimenti e non li ha vissuti, e nemmeno ha vissuto l’orrore della guerra, è facile cadere nel giudizio, la tentazione di mettere i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, il più possibile lontano da noi. Questo libro invece ci mostra come non esistano buoni o cattivi, né da una parte, né dall’altra, il giusto e lo sbagliato in guerra, lo sappiamo, non hanno gli stessi contorni che in tempo di pace.

E questo è uno degli aspetti che mi hanno colpita: che i fatti della guerra, anche se una parte di noi li vorrebbe confinati in quel periodo storico, come se una saracinesca fosse caduta il 25 aprile a separarli per sempre da noi, continuano ad avere ripercussioni. I fatti di prima influenzano i fatti di dopo, perché le persone sono le stesse e non si cancellano orrori, torti, odio  e amore con una dichiarazione di pace.

Il protagonista Vittorio si ritrova faccia a faccia con un passato che sperava di non rivedere più. Deve fare i conti con se stesso, col fratello morto e con i vivi rimasti, con le sue convinzioni e la caparbietà di un maresciallo, che non si limita alla prima risposta, ma vuole andare a fondo, capire.

Sul Ponte del diavolo nel ’44 è stata compiuta una strage che grava come un’ombra sul paese, che non sa, o non vuol sapere, chi ne siano realmente i responsabili.

“Sono gli uomini a essere maledetti, maresciallo, non i ponti. I ponti sono solo pietre e cemento. Gli uomini invece sono anche sangue e merda. E non se ne dimenticano mai.”

Alla fine del libro la verità viene a galla e per una volta verrebbe quasi da pensare che sarebbe stato meglio che restasse sepolta, come era successo per vent’anni, per altri venti o trenta, il tempo di far invecchiare e magari morire i protagonisti, per evitare loro altre sofferenze, che non rendono migliore il mondo né ciò che è stato. Non ci sono vincitori, solo vinti. Come in tutte le guerre. E “ci sono vuoti che non si possono riempire con niente.”

Daniela