Premio Giuria Viareggio a PIA PERA: un ricordo della sua editor

Ringraziamo Ponte alle Grazie per averci fornito il materiale e le parole sentite e toccanti di Cristina Palomba

al giardino

Dopo la sua prematura scomparsa, Pia Peraautrice di Al giardino ancora non l’ho detto (Ponte alle Grazie), viene ricordata oggi alla cerimonia del Premio Viareggio 2016.

Selezionata nella terna della sezione narrativa, sul palco della Cittadella del Carnevale (via Santa Maria Goretti, Viareggio) a ritirare la targa del Premio Giuria Viareggio, questa sera alle 21, ci sarà l’editor di questo suo ultimo libro Cristina Palomba.

Anticipiamo qui sotto la testimonianza  dell’editor di Ponte alle Grazie che verrà letta in occasione della serata di premiazione.

L’ultima avventura

di Cristina Palomba

Non ricordo a che punto della sua malattia Pia Pera abbia pensato di tenere un diario. Un giorno mi ha detto che stava scrivendo, ma non voleva parlarne o mostrarmi nulla. Solo dopo qualche tempo ho saputo il titolo che lei aveva dato ai suoi appunti: Il giardiniere e la morte. Ancora la diagnosi non era certa, ma lei già immaginava di finire confusa alla terra del giardino, di sdraiarsi nel prato tra i fiori e i lombrichi e di ritornare a far parte della natura.  Solo parecchio tempo dopo questa prima conversazione e dietro mie insistenze, Pia mi ha mandato una prima stesura del libro: la malattia nel frattempo si era fatta strada, aveva occupato molto più spazio malgrado non avesse ancora un nome. Ma non c’era più dubbio che si trattasse di una cosa grave dalla quale non sarebbe guarita. Nel mandarmi il testo, che mi chiedeva ancora di non mostrare a nessuno, Pia mi ha detto che era preoccupata di dare alle stampe un libro così triste. Non voleva rattristare i suoi lettori con storie di malattia e di morte.

Io l’ho letto voracemente, in due giorni: lo trovavo non solo bellissimo, raffinato, lucido, intelligente – cose che erano per me abbastanza ovvie – ma soprattutto pieno di speranza. Ho telefonato a Pia per dirle che mi era venuta subito in mente una frase di mio figlio dodicenne dopo una vacanza in montagna dove aveva camminato moltissimo «in mezzo a quei paesaggi che ti fanno sentire libero e nuovo». Lo stesso effetto me lo facevano le parole di Pia. Trovare libertà e gioia in un corpo che era ormai una prigione mi sembrava una operazione straordinaria, rivoluzionaria, come guardare il mondo a testa in giù. MI faceva sentire libera e nuova perché leggevo pensieri liberi e nuovi. Le parole di Pia erano per me gli orizzonti immensi e rasserenanti che ci aspettano alla fine di una lunga ascesa in montagna. E così è cominciata la nostra ultima avventura, che avrebbe poi preso il nome di Al giardino ancora non l’ho detto: idealmente sedute fianco a fianco – in realtà io alla mia scrivania milanese lei sula sua sedia a rotelle in Lucchesia, unite dal telefono e dal computer – abbiamo cominciato a vangare, riordinare, potare, seminare, annaffiare, dare il nome giusto a quella pianta o a quell’emozione, a fare tutte quelle attività che sono simili nel giardino e nella scrittura. E che servono per rendere accogliente e indimenticabile – al visitatore o al lettore – lo spazio da visitare.

Naturalmente non è stato un processo semplice, la gioia non era a portata di mano: Pia ha dovuto fare un lungo lavoro su se stessa per accettare la malattia. All’inizio ha molto lottato per non riconoscerla, ha puntato i piedi, si è abbarbicata alla ricerca di una spiegazione razionale, ha provato tutte le soluzioni che le venivano offerte – anche quelle meno scientifiche -, ha coltivato cattivi umori e rancori, ma quando è riuscita a uscire dallo sviluppo narrativo, sono parole sue, in modo totale, quando ha cominciato a vivere attimo dopo attimo, solo nell’istante, è cominciata una fase che non ho paura di chiamare piena di gioia, luminosa.  A mano a mano che le sue risorse “esterne” scemavano, le sue risorse interne aumentavano. Se si restringeva il suo spazio esterno, si ampliava il suo spazio interno.

Credo che questa illuminazione sia il frutto di una vita spesa a coltivare, zappare, dissodare, innaffiare, curare il suo giardino che corrispondeva in tutto e per tutto alla sua vita interiore. E che fino all’ultimo è stata la fonte principale della sua gioia, della sua riflessione, centro della sua vita emotiva e sentimentale.

Pubblicare queste ultime riflessioni e vederle recensite, accolte, lette, vendute con successo è stata per lei una soddisfazione notevole. In fondo, quello che per tutta la vita ha desiderato fare era la scrittrice. E, certo, anche la giardiniera. O meglio: tutte e due le cose insieme, per dare soddisfazione un po’ al corpo e un po’ alla mente. E coltivava le parole e i fiori e il suo orto con la stessa cura,  con la stessa intensità, con quella ricerca del senso profondo della vita, quel desiderio di afferrare l’essenza del mondo. C’è sempre una grande unione tra la mente e il corpo in tutte le cose che Pia ha intrapreso – e infatti praticava lo yoga e la meditazione – e una grande necessità. Niente di inutile, niente lasciato al caso.

 Ho ricevuto la notizia della sua morte sulla banchina del molo di Mikonos. Non sono potuta tornare per la piccola commemorazione che si è svolta nel suo giardino in luglio con gli amici più cari. Vorrei salutarla con questi versi di Mariangela Gualtieri (da Fuoco centrale, Einaudi, 2003):

Forse sono i bambini a sostenere il mondo
e gli animali, forse sono i cuccioli d’ogni specie.
C’è tanta gioia dentro quei corpi piccoli
tanta di quella preghiera, forse sono i bambini
i fiori l’acqua, le cose fatte da due mani,
la quiete di una casa, robe di niente.

Forse la gioia è la preghiera più alta.

Ma avevo troppo da fare io
ero sempre nel pieno d’una lotta
ero nelle velocità del sangue
nella sua corsa impennata di sangue
che chiede una vittoria una qualunque. Ero
dentro la storia – a quella solfa
di nomi e cognomi a quella graduatoria
di chi gliela fa.

Forse la gioia è nella geografia che non ha
nomi di persona ma catene di monti
continenti città mari campi. Ere.