“Quaderno proibito” è un libro doloroso e allo stesso tempo umile. La voce della sua autrice, Alba de Céspedes, è tenera e insieme appassionata. È stato pubblicato nel 1952 ma ambientato nel 1950. Noi abbiamo letto la copia Settimanali Mondadori del 1967. Della stessa autrice abbiamo recensito anche “Dalla parte di lei“.
La forma è diaristica, ma è ricco di dialoghi e descrizioni: una dimensione perfetta per immaginare situazioni e sentimenti.
Cos’è “Quaderno proibito”
La protagonista di “Quaderno proibito” è la romana Valeria, che decide di comprare un quaderno nero. È “proibito” perché secondo le norme dell’epoca il tabaccaio può vendere solo tabacchi, di domenica. Lei riesce lo stesso ad acquistarlo e lo nasconde sotto il cappotto.
Questa trasgressione apre la strada ad alcune altre. La prima è nel prendersi del tempo per scrivere su questo quaderno, il che già le sembra un reato. Valeria è sposata da 23 anni e ha due figli adulti, che stanno finendo gli studi.
In questa fase della sua vita, adesso che lei si è fermata a pensare, scopre che non vuole rinunciare a una giovinezza che sente ancora il diritto di vivere, mentre il marito – e forse la società tutta – pare volerla rinchiudere in una vecchiaia senza scampo. E cosa succederà se il direttore, accanto al quale lavora da ormai otto anni, inizia a manifestare dell’interesse per lei e a farle capire che c’è qualcuno che la vede ancora bella e giovane?
Punti di forza
Sapere che Alba de Céspedes è un’ autrice molto importante per la letteratura femminista apre forse al pregiudizio di una narrativa rabbiosa e rivendicativa. “Quaderno proibito” è il mio primo approccio a questa scrittrice che ho trovato di uno stile lucido, commovente, umile.
La protagonista si trova a rappresentare una transizione fra il vecchio e il nuovo: fra la condizione della donna costretta a lavorare per necessità e un nuovo modo di concepire l’indipendenza economica. È molto rappresentativo il paragone che lei fa tra la solidità di sua madre e l’irrequietezza della figlia, che ha vent’anni e si sente in diritto di ribellarsi e iniziare a lavorare solo perché lo vuole, meglio se accanto all’uomo che ama.
“Sembra che voglia partire per sfuggire qualcosa che lo rende infelice in casa, piuttosto che per trovare qualcosa che lo renda felice con me; ma anch’io provo la stessa impressione”.
“Quaderno proibito” non parla solo di carriera. Parla dell’età che avanza, della vita matrimoniale a rischio deterioramento, dell’importanza di non smarrire la propria identità nelle dinamiche famigliari. L’intimità della protagonista diventa la nostra intimità, i suoi dubbi gli stessi nostri.
Però, però, però…
Conosco molte persone che hanno letto questo libro nei loro vent’anni. La protagonista ne ha quarantatré e penso che solo la vicinanza alla sua età aiuti a comprendere profondamente il suo modo di sentire e di essere.
“Quaderno proibito” mi ha immerso in una vita famigliare degli anni Cinquanta in cui portare due stipendi a casa era considerata una necessità (“Poverina”, dicono alla protagonista le compagne di té, un attimo prima del fuggi fuggi generale con i mariti venuti a prenderle sotto il portone) e non un affrancamento.
“Quale donna ha più il diritto di essere una bambina, oggi? Del resto, alcune non hanno mai avuto il diritto di esserlo.”
Il romanzo si chiude con la consapevolezza di una vita senza scampo, ma noi, che ne siamo al di fuori e leggiamo a ottant’anni di distanza, ci scopriamo libere di pensare di avere ancora una chance.
Cristina Mosca